«Oncologia, un reparto all’avanguardia»

Il direttore dell’Unità operativa dell’Angelo e del Civile, Paolo Morandi, replica alle lettere critiche di alcuni pazienti
Di Marta Artico

Cure all’avanguardia e un’équipe che lavora di concerto per garantire le migliori terapie ai pazienti. Riflettori accesi sul reparto di Oncologia dell’ospedale dell’Angelo, al centro di alcune lamentele da parte di pazienti, che hanno inviato lettere alla “Nuova Venezia” segnalando alcuni disservizi, ma anche di elogi per le cure ricevute.

Il direttore dell’unità operativa complessa di Oncologia dell’Asl 12, Paolo Morandi, ci ha aperto le porte del reparto di Mestre che segue i pazienti in day-hospital. «Quello che vorrei mettere in rilievo», premette, «è la complessità e la qualità del servizio fornito, così come l’impegno e la tensione di tutti a migliorare cercando percorsi più semplici possibili per ridurre i momenti di difficoltà delle persone».

Spiega: «Sono 1.500 all’anno i pazienti in trattamento attivo nel reparto di oncologia che si sottopongono a cure per bocca o in terapia endovenosa, vengono effettuate 950 prime visite e nuove diagnosi, 800 visite di controllo annue, in due turni pomeridiani». Un numero che connota il settore quale centro hub provinciale della rete oncologica veneta. «I pazienti vengono visitati, concordano le cure e il controllo con lo specialista».

Se un paziente necessita della terapia del dolore, viene contattato il medico della terapia antalgica. «Abbiamo un numero di accessi giornaliero di almeno 30-40 persone e altrettante terapie quotidiane, 15 posti poltrona e 2 posti letto». I familiari rimangono in sala di attesa e ci sono aree di attesa per le visite e per i vari step sullo stato di salute e la diagnostica. «L’ammalato non richiede il farmaco, il percorso farmacologico è protetto: c’è la prescrizione del medico, la validazione del farmacista che controlla la richiesta, la consegna». I medici sono 10, oltre al primario, 8 gli infermieri.

«Ogni martedì mattina, dalle 8 alle 9, una riunione esamina i casi complessi: un’équipe che si riunisce, ragiona sulle linee terapeutiche, sulle vie innovative da provare, si discute di intervento o meno, o magari del fatto che non ci sono molte scelte per il paziente, si sentono altri istituti di cura, come quello di Padova. A volte la riunione viene replicata anche nel pomeriggio». Si tratta di casi delicati, che richiedono un impegno sinergico. «La qualità delle cure e la correttezza delle scelte, la modernità delle terapie, l’utilizzo dei farmaci più costosi ed efficaci, niente di tutto questo viene messo in discussione. Ci si può soffermare su un caso alcuni minuti in più, si discutono le lastre, la storia clinica del paziente, si immaginano percorsi di cura quando non ci sono aspetti positivi, con il contributo di tutti, perché più teste che ragionano è meglio, per questo concentriamo i gruppi per settori. È difficile essere esperti di tutto, vale la pena che ognuno segua un’area».

Una macchina complessa, nella quale i tempi - fa capire - variano anche per via dello stato di salute e della reazione della persona alle cure, dei tempi di analisi del laboratorio, di preparazione del farmaco, le complicanze fanno parte della catena perché la sicurezza del paziente è primaria.

Ci possono essere attese? «Chiudere tutto nella stessa giornata richiede tempo, ma è una catena necessaria. Gestiamo una parte del percorso e cerchiamo di fare sempre meglio e con più attenzione. Noi garantiamo un’équipe, se un giorno non c'è un medico, sicuramente ce n'è un altro che è stato allertato, è una macchina complessa che cerchiamo di semplificare, un impegno aziendale e personale in un quadro di aumento in prospettiva della permanenza dei pazienti, perché grazie alle cure si vive più a lungo».

Chiarisce il primario: «Ci sono farmaci che hanno cambiato la storia naturale delle malattie, garantendo tempi prolungati e una buona qualità di vita, inoltre le immunoterapie di nuova generazione consentono di congelare la malattia per molto tempo. Quindi il paziente resta dentro macchina dei trattamenti più a lungo, il che significa più farmaci, più valutazioni, un carico di lavoro che aumenta. Oggi la curva di sopravvivenza per patologie importanti di tumore, come quella del colon metastatico, è tra i 36 e i 40 mesi ed è triplicato il numero pazienti che si continuano a curare. Ora la sfida più grossa ci viene posta proprio dall’immunoterapia».

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