Omicidio Pamio, Dna decisivo «La Busetto ha agito con lucidità»
«La responsabilità di Monica Busetto per l’omicidio dell’87enne Lida Taffi Pamio, avvenuto il 20 dicembre 2012, è provata al di là di ogni ragionevole dubbio». A scriverlo nella prima delle 12 pagine delle motivazioni della sentenza depositata nei giorni scorsi in cancelleria è la giudice relatrice Patrizia Montuori, la quale poi elenca quali siano le prove raccolte durante il lungo dibattimento davanti alla Corte d’assise ed esposte dal pubblico ministero Lucia D’Alessandro. La Corte veneziana, il 22 dicembre scorso, ha condannato l’inserviente del “Fatebenefratelli”, residente in viale Vespucci, a 24 anni di reclusione per omicidio volontario aggravato e furto.
Il magistrato riferisce che a trovare il cadavere disteso nella cucina è stato il nipote, che attendeva la zia per accompagnarla ad una visita medica. Aveva subito chiamato il 118 e gli operatori sanitari hanno riferito di aver scoperto ben due coltelli, uno piantato nel torace, l’altro, che aveva il manico spezzato, nel collo. Quindi c’erano fazzoletti di carta nella gola e una filo elettrico stretto attorno al collo. In casa c’erano sia i gioielli sia i soldi e un segno di una pantofola nella larga chiazza di sangue vicino al cadavere, nessuna traccia di sangue, invece, sul pianerottolo e sulle scale. Sia il nipote sia la parrucchiera dell’anziana hanno riferito che Lida Pamio aveva sempre una catenina d’oro al collo che le era stata strappata, visto che c’erano anche i segni di graffi sulla pelle.
Quella collanina era stata trovata, durante la perquisizione compiuta un mese dopo in casa della Busetto, nel suo portagioie. A portare gli investigatori della Squadra mobile in casa della Busetto, che abita proprio di fronte alla vittima, sullo stesso pianerottolo, la traccia sulla macchia di sangue, che escludeva l’impronta di una scarpa arrivata dall’esterno. Sulla collanina è stato trovato il Dna dell’imputata, elemento determinante per la condanna, solo al secondo tentativo perché nel primo - stando alla sentenza - era stato utilizzato un diverso metodo di ricerca.
Che la collanina fosse della Pamio non ci sarebbero dubbi: esiste, tra l’altro, un’intercettazione telefonica in cui Monica Busetto cerca di convincere la sorella che si trattava di una catenina sua, ma la sorella taglia il discorso sostenendo che non si ricorda.
Gli investigatori, comunque, non sono riusciti ad individuare il movente che ha spinto l’imputata a uccidere, anche se in udienza il pm ha insistito nell’affermare che si sarebbe trattato di una lite per questioni di poco conto, di foglie cadute sul pianerottolo dalle piante della Pamio. La Corte non ha concesso la perizia psichiatrica chiesta dai difensori perché «dopo il delitto ha operato con estrema lucidità», tornando nella casa della vittima per cancellare ogni sua traccia.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia