Omicidio Manca: Dekleva condannato a 19 anni e otto mesi

La corte d’Appello ha sostanzialmente confermato la pena (20 anni e sei mesi) che era stata inflitta in primo grado all’uomo accusato di aver ucciso la moglie Lucia e di averne occultato il cadavere
Interpress/Mazzega De Rossi Venezia, 12.04.2013.- Triubunale di Venezia, sentenza Dekleva.- Nella foto Renzo Dekleva all'uscita del Tribunale, condannato a 20 anni e 6 mesi.-
Interpress/Mazzega De Rossi Venezia, 12.04.2013.- Triubunale di Venezia, sentenza Dekleva.- Nella foto Renzo Dekleva all'uscita del Tribunale, condannato a 20 anni e 6 mesi.-

MESTRE. Diciannove anni e otto mesi. Questa la pena inflitta a Renzo Dekleva per aver ucciso la moglia Lucia Manca. In aula bunker a Mestre si è concluso il processo, con rito abbreviato, a carico dell’uomo accusato di aver commesso l’omicidio della bancaria di Marcon, di averne occultato il cadavere e di avere poi dato l’allarme della scomparsa per allontanare i sospetti.

Come già avvenuto nel processo di primo grado anche i giudici d’appello si sono convinti quindi che Renzo Dekleva ha ucciso la moglie Lucia Manca nel loro appartamento di Marcon, il 6 luglio del 2011. Poi ha messo il suo corpo in auto e lo ha trasportato fino a Cogollo del Cengio - sulla strada che portava alla loro casa a Falcade - abbandonandolo sotto il viadotto, dove venne trovato, ridotto a scheletro, ad ottobre 2011, nascosto da un cumulo di foglie e rami.

In primo grado il giudice Marta Paccagnella lo scorso aprile aveva condannato Dekleva a 20 anni e 6 mesi con questa motivazione-ricostruzione: «Lucia Manca “scompare” tra la sera del 6 luglio e la mattina del giorno seguente. Solo nelle parole di Dekleva, però, Lucia era ancora viva durante la notte, quando l’avrebbe sentita uscire di casa per recarsi al lavoro. Gli ultimi segni di vira certi raccolti da qualunque altra persona si collocano, invece, al più tardi, alle 19,40 del 6 luglio. Non risultano registrate nel corso di quella serata telefonate attribuibili alla Manca, nè alcuno ha riferito di aver parlato con lei. Da quella sera nessun testimone l’aveva più vista, le aveva parlato, ne aveva notato o percepito l’esistenza in vita ed una possibile presenza in casa o fuori di Marcon. Tutto questo appare indicativo del fatto che Lucia Manca morì in casa e il decesso in casa non poteva che essersi verificato nel corso della serata e per mano del marito». «Il principale e decisivo elemento indiziario a carico dell’imputato è in ogni caso rappresentato dalla prova della sua presenza nella zona del ritrovamento del corpo la notte tra il 6 e il 7 luglio...Ritiene questo giudice che tale viaggio, effettuato nel cuore della notte ed in assenza di motivo concreto e di oggettiva urgenza non possa trovare alcuna logica e plausibile spiegazione se non quella di occultare il cadavere nel luogo dove venne effettivamente ritrovato». Infine, grazie ad una telefonata intercettata a Dekleva, quest’ultimo ad un amico confida, ancor prima che i carabinieri del Ris rendano noti i risultati degli esami dei resti biologici recuperati nel bagagliaio della sua Lancia (c’erano saliva e urina della Manca), di attendersi il rinvenimento di tracce biologiche della moglie e si giustifica in anticipo sostenendo che si sarebbe trattato di una perdita da un sacchetto della spazzatura.

La differenza tra la condanna in Appello e quella in primo grado, dieci mesi, è dovuta al fatto che i giudici d’Appello hanno riconosciuto a carico di Dekleva anche il reato di “occultamento di cadavere”, rispetto a quello di “distruzione di cadavere”, più grave.

Il difensore dell’imputato, l’avvocato Pietro Someda, ha preferito non commentare la condanna del suo assistito: «Mi riservo di farlo non appena avrò letto le motivazioni».

Nessun commento nemmeno da parte della famiglia di Lucia Manca. I legali della famiglia, però, gli avvocati Antonio Bondi e Gabriella Giunzoni si sono detti invece soddisfatti per il fatto che la corte ha accolto tutte le richieste anche in materia di risarcimento.

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