Off-shore, il Ministero «boccia» il progetto

In otto pagine, diciannove quesiti e varie richieste di chiarimenti. Ecco tutti i dubbi sulla «realizzazione tecnica ed economico-finanziaria»
Il progetto del porto off-shore che non convince il Ministero
Il progetto del porto off-shore che non convince il Ministero

VENEZIA. Otto pagine di richieste, diciannove quesiti. La «Struttura tecnica di missione» del Ministero delle Infrastrutture di Graziano Delrio non è convinta della bontà del progetto off-shore. E ha inviato all’Autorità portuale il suo parere con una lunga richiesta di chiarimenti. Per gli scettici sulla grande opera in mare, si tratta quasi di un de profundis all’iter del progetto di piattaforma logistica voluta dal Porto di Venezia e dal suo presidente Paolo Costa. Una battaglia che prosegue, anche in vista delle elezioni politiche della settimana prossima, della nuova legge sui porti e del rinnovo dei mandati dei presidenti, previsto per ottobre. Sul piatto, il progetto Voops («Venice off-shore on-shore port system»), che ha già ottenuto il via libera da Regione, commissione Via e Cipe, ma adesso deve superare la diffidenza del Ministero e degli altri scali italiani, a cominciare da Trieste.

Off-shore «bocciato», Costa: «Opera necessaria per salvare Venezia»
Presidente Autorit‡ Portuale Paolo Costa.Ritratto al Porto.Photo (c) Michele Crosera

Cosa dice il parere della struttura tecnica? Una serie di dubbi e quesiti riguarda soprattutto l’opportunità di procedere su un progetto per cui, secondo i tecnici del Ministero, «rimangono molti aspetti non ancora chiariti». È necessario, si legge nella premessa, «giungere a una completezza informativa aggiornata e integrata, che rappresenti con chiarezza la versione attuale dell’idea progettuale e della sua proposta di realizzazione tecnica ed economico-finanziaria. Perché negli ultimi dieci anni è sopraggiunta «una fisiologica necessità di variazioni e adattamenti al progetto originario».

Scenari alternativi. Per «evitare rischi» si suggerisce prima di tutto di considerare e confrontare «scenari alternativi». «Dove la funzione del porto off-shore sia svolta da altri porti del Nord Adriatico, Trieste e Capodistria in testa, come già oggi accade». L’accesso al porto veneziano («on-shore») sarebbe comunque garantito, perché lo scenario di «non navigabilità per la chiusura del Mose», scrivono i tecnici del Ministero delle note, «è limitato a pochissimi giorni all’anno».

La convenienza. Si può tranquillamente, secondo il rapporto della Stm, rinunciare alla piattaforma off-shore e affidarsi ai trasferimenti da una nave all’altra («transhipment») facendo base su Trieste. I costi sarebbero più o meno gli stessi.

Il rischio di investimento. Nel quesito Q3 il gruppo del Ministero ribadisce il «rischio di investimento» che invece sarebbe minimo puntando sulle infrastrutture a terra dotate di buona accessibilità marittima. Ancora una volta, Trieste. Occorre anche chiarire, continua il documento, quali sono gli scenari di sviluppo del mercati con analisi di sostenibilità economico finanziarie.

Mose. Chiarimenti sono richiesti anche sulla questione della conca di Malamocco, per cui la mancata realizzazione dell’off-shore comporterebbe una revisione.

Off-shore, pronti investitori cinesi

Ambiente. Un problema ambientale si porrebbe, continua lo studio, nel caso il progetto del terminal petroli venisse stralciato dal progetto generale dell’off-shore. Anche puntando solo sui container, rimarrebbe evidente il problema dell’impatto ambientale per il traffico delle barche dirette in laguna nel porto on-shore.

Ferrovie. «L’ampliamento del mercato e del traffico di Teu (5,9 milioni previsti nel 2030) è legato all’efficacia dei collegamenti ferroviari. È stata verificata la funzionalità di queste infrastrutture?»

Tempi e costi. «Vi sono ragionevoloi elementi», continua il rapporto, «per ritenere che i costi e i tempi dell’opera possano essere considerevolmente maggiori di quelli dichiarati. Si chiede dunque un computo metrico e una stima più precisa dei costi». «Nelle infrastrutture strategiche, la differenza di costo tra il progetto preliminare e il progetto definitivo, anche in forza di prescrizioni, può crescere del 50% e anche di più». Occorre dunque riconsiderare il rapporto costi-benefici.

“Mama vessel”. Sono i piccoli battelli attrezzati per trasportare le cassette dall’off-shore in mare al porto interno. I tecnici chiedono di verificare i costi di questo servizio, stimati in 100 euro a container, e la loro incidenza sui costi generali.

Privati. Il Ministero propone che i finanziatori privati siano coinvolti da subito, anche nella realizzazione della parte pubblica.

Le entrate. Le entrate per lo Stato sono stimate in 900 milioni di euro. Ma si tratta del valore delle opere di infrastrutturazione. Quale sarebbe allora il vantaggio economico per lo Stato per realizzare l’opera?

Risorse finanziarie. Chiarimenti vengono richiesti infine sul fatto di come saranno garantite le procedure per fare arrivare i capitali privati. 938 milioni di risorse pubbliche che dovrebbero attrarre 1250 milioni di euro di risorse private. Di questi 948, 135 sono già stati stanziati dal Cipe, altri 533 dovrebbero arrivare sempre dal Cipe, 280 nell’ambito del cofinanziamento europeo Ten.Ent.

Iter. Il suggerimento finale del gruppo di lavoro del Ministero è quello di «mandare avanti il solo stralcio funzionale del terminal on-shore Montesyndial», per cui si sono già i finanziamenti pronti. Nel caso di approvazione dell’intero progetto con disponibilità finanziaria ridotta, scrivono i tecnici della Stm, «non si avrebbe con ogni probabilità accoglimento positivo dalla Corte dei Conti».

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