Off-shore «bocciato», Costa: «Opera necessaria per salvare Venezia»

Il presidente dell'Autorità portuale: «Solo così potremo riavere l’accessibilità marittima e diventare il terminale per tutto il Mediterraneo»
Presidente Autorit‡ Portuale Paolo Costa.Ritratto al Porto.Photo (c) Michele Crosera
Presidente Autorit‡ Portuale Paolo Costa.Ritratto al Porto.Photo (c) Michele Crosera

VENEZIA. «L’off-shore? Un progetto dovuto per ridare al porto di Venezia accessibilità marittima. E per sviluppare il mercato a livello nazionale. Con la nuova piattaforma l’Alto Adriatico diventerà il terminale marittimo del Mediterraneo, oggi appannaggio del Pireo e di Istanbul. E farà concorrenza a Rotterdam, rilanciando l’economia del Paese». Paolo Costa non si ferma. Per storia personale e per carattere è abituato alle sfide in salita. Anche gli avversari gli riconoscono capacità e competenza. E soprattutto volontà. Così la raffica di dubbi e richieste di chiarimenti che il Ministero attraverso la sua “Nuova struttura tecnica di missione” (Nstm) gli ha messo sulla strada del grande progetto di terminal off-shore non lo spaventa. Il suo secondo mandato si sta per concludere, in ottobre, e in teoria non è ricandidabile. Ma la nuova legge sui porti potrebbe portare qualche sorpresa.

Presidente Costa, ha senso in tempi di crisi puntare su una nuova grande opera da due miliardi di euro?

«Non è una infrastruttura qualunque. È la strada obbligata per salvare il Porto di Venezia e rilanciare i traffici dell’Adriatico. Le grandi navi transoceaniche non possono entrare in porto e i canali non si possono più scavare per motivi ambientali. In questo modo si potranno riconvertire le aree di Marghera in produzioni manifatturiere che sfruttano la vicinanza al mare».

I dubbi però aumentano. Il Ministero ha inviato molte richieste di chiarimento.

«Abbiamo già risposto nei dettagli. Costi, tempi, studi sui mercati e le convenienze di scala. Ne ho parlato anche con il capo della Struttura tecnica Ennio Cascetta che era a Venezia nei giorni scorsi. Andiamo avanti».

I dubbi riguardano anche i finanziamenti e le modalità di spesa.

«Questo progetto è stato approvato e adesso attende solo l’approvazione definitiva dal Cipe che ha già dato 135 milioni. E poi è in parte un progetto dovuto alla città di Venezia».

Che significa?

«Che quando venne dato il via libera al Mose si decise di costruire una via di accesso permanente per mettere il porto al riparo dai danni. Venne costruita la conca di navigazione, ma le misure sono sbagliate. Non vanno più bene per le navi di nuova generazione».

Dunque?

«Ho scritto al Ministero. O si adegua la conca, ma questo costerebbe 700 milioni di euro, oppure si va avanti con l’off-shore. Lo Stato mette quei soldi che tra l’altro deve mettere per obbligo di legge, per allontanare i petroli dalla laguna. E questo diventa un’opportunità anche per la nostra economia».

Mancano un miliardo e 300 milioni che dovrebbero mettere i privati.

«Come ho detto ci sono cordate di imprenditori cinesi interessate. Ma vogliono avere certezze».

Invece aumentano i dubbi.

«Abbiamo risposto con i dati e in modo puntuale a tutte le osservazioni. Speriamo così di sgombrare il campo da un processo alle intenzioni pregiudizialmente portato avanti da soggetti controinteressati».

Trieste?

«Beh... ma il nostro progetto non è in concorrenza con Trieste. Non facciamo transhipping, non c’entra. Quelle navi non ci andrebbero comunque a Trieste. Devono fare 150 chilometri in più. Qui invece possono servire l’area ovest dell’Adriatico. E rivitalizzare la rete di canali da Chioggia a Ravenna.

Allora l’off -shore si farà.

«Sta alla politica decidere, noi abbiamo fatto il nostro dovere. Sono convinto sia un’occasione da non perdere».

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