Oasi di calma nel caos del Pronto soccorso di Dolo: è “La stanza di Jacopo”
DOLO. Sulle pareti campeggiano dei manifesti con un pettirosso, così come realizzato da mamma Fausta in un’incisione. Quel pettirosso che, racconta la donna, «mi guardava a un metro di distanza quando io, in totale confusione, sono uscita a fumare dopo la morte di Jacopo».
Il tavolo è rotondo, come quello di casa. Ci sono le caramelle, i biscotti, le fette biscottate. Una piccola cucina ha tutto quel che serve. A disposizione anche un microonde, un bollitore, una macchinetta del caffè. E poi un angolo con il divano. Fuori c’è la sala d’attesa del Pronto soccorso di Dolo con il suo carico di confusione, dolore, tensione. Dentro si respirano silenzio, calma, tranquillità.
Il senso de “La stanza di Jacopo” è proprio questo. Mamma Fausta Tocchio ha sperimentato sulla propria pelle all’estero la potenza di uno spazio del genere e ora sta portando questa intuizione negli ospedali.
Natale 2010, Jacopo Corradi, il suo primo figlio, ha 21 anni. Vive a Londra dove studia e lavora. Una telefonata con la madre per gli auguri e dopo poche ore un’altra telefonata raggiunge Fausta: Jacopo è stato colpito da un attacco d’asma fulminante. La situazione è disperata. L’indomani la madre vola da Venezia a Londra ma non c’è niente da fare.
«Mi hanno accompagnata in una stanza dove c’erano una cucina e un divano. Lì ho ascoltato i medici e sono stata ascoltata, lì ho deciso di donare gli organi che è la parte viva di questa storia perché Jacopo ha salvato sette persone», racconta Fausta, tremando ancora nel ricordo di quelle ore, «Quel luogo mi ha aiutata a rimettere assieme qualche pezzo e ricostruire le volontà di Jacopo. Ho potuto vivere quei momenti in una situazione che non era né un corridoio, né una sala d’attesa, né uno studio medico con una scrivania che divide. In quella stanza potevo piangere senza essere osservata. Quel luogo mi ha abbracciata nei momenti del dolore più lacerante».
Rientrata in Italia, Fausta si fa forza e decide di provare a importare quella stanza nei nostri ospedali, investendo la parte della sua liquidazione che sarebbe spettata al figlio che non c’era più. Ha fondato l’associazione “La stanza di Jacopo” e si è messa in moto.
Nel 2011 la prima “stanza” in Pediatria a Savona, terra d’origine della famiglia, poi il progetto approda in Veneto – una aperta a Venezia, l’altra a Mestre e una in realizzazione a Mirano, ma anche nel Trevigiano – e da qualche settimana nel nuovo Pronto soccorso dell’ospedale di Dolo. «Questa stanza significa umanizzare le cure, dando un senso ulteriore al lavoro prezioso dei sanitari. Significa dare un’opportunità a chi sta vivendo un momento difficile di riflettere, sfogarsi, restare con se stesso, attendere con speranza», conclude Fausta, «L’idea è quella della casa: uno spazio così è prezioso, chi lo vive se ne rende conto solo dopo». E proprio come a casa, la stanza è chiusa e viene aperta quando l’operatore sanitario intuisce che il suo uso potrebbe portare benefici.
«È una stanza accogliente che il personale apre per i familiari in attesa di notizie in situazioni delicate, ma anche per l’attesa di pazienti in casi di fragilità», conferma il primario del Pronto soccorso di Dolo, il dottor Andrea Pellegrini, «Ma non solo: è anche uno spazio per le mamme che devono allattare o per persone vittime di violenza in attesa delle visite».
Un luogo protetto, silenzioso, familiare per quanto possibile. Qualche giorno fa, “La stanza di Jacopo” si è aperta per la prima volta per una famiglia con un figlio disabile che necessitava delle cure del Pronto soccorso e che in sala d’attesa si era molto agitato. In un contesto più intimo, mentre i genitori si preparavano un caffè come a casa, si è tranquillizzato.
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