«Non siamo razzisti, ci hanno costretto»

Botton (Asd): «Le famiglie volevano ritirare i bambini». L’allenatore Gino Mez: «Sono tutti vaccinati»

CONA. «Non vorrei che passasse il messaggio che siamo una società razzista. La verità è che non abbiamo avuto scelta e se la situazione si chiarirà, io sarò il primo ad andare alla base a invitare quei ragazzi a tornare». Nicola Botton è consigliere comunale di maggioranza ma è stato anche il presidente (da inizio anno la palla è passata a Graziano Bardelle) dell’Asd Pegolotte, la squadra di calcio in cui militavano sei profughi della base di Conetta, e che concedeva il suo campo per le partite casalinghe, ogni due lunedì, alla sera, del Campo Cona, compagine amatoriale interamente formata da profughi. «Abbiamo ascoltato le preoccupazioni dei genitori dei nostri atleti più piccoli», continua Botton, «quando è scoppiato il caso della meningite, o quel che era, tutti si sono preoccupati e hanno detto chiaramente che, se i profughi continuavano a frequentare il nostro impianto, avrebbero ritirato i loro bambini». Addirittura in 18 avrebbero già compiuto questo passo. Prosegue: «Per una piccola società come la nostra (siamo in 160 tesserati di cui 120 nel settore giovanile) una simile prospettiva sarebbe stata disastrosa. Quindi abbiamo preso questo provvedimento. L’alternativa era tenere duro e perdere i ragazzi italiani con la prospettiva che, tra qualche mese, i giocatori della base venissero trasferiti altrove e poter perdere anche loro. È stata una scelta sofferta». Com’era intuibile, è stata la paura del contagio a far muovere i genitori. Una paura che è dilagata tra domenica e lunedì e che l’assemblea pubblica, con i medici dell’Usl, martedì sera, non ha fugato.

«I profughi sputano per terra e si lavano negli stessi spogliatoi dei nostri ragazzi. Come facciamo a essere sicuri?», aveva chiesto un genitore proprio durante quella serata. E l’aver saputo che qualcuno dei giovani stranieri può rifiutare la vaccinazione o che l’affollamento nei tendoni della base rende più facile il propagarsi di malattie infettive (anche se non lo era quella contratta dal 19enne bangladese) tra di loro, non ha contribuito a rasserenare il clima.

Le previsioni future di controlli sanitari periodici nella base da parte dell’Usl, non sono ancora realtà (ora avvengono solo su richiesta) e i genitori non si fidano. Per cui accesso vietato a tutti i profughi, anche a quelli vaccinati, perché non ci fidiamo. Eppure, fino all’altro giorno, tutto era andato per il meglio. «I profughi non solo giocavano bene», dice Botton, «ma si intendevano perfettamente con gli altri giocatori. Prima di venire da noi avevano bussato anche ad altre porte. A Bagnoli, per esempio. Ma noi li abbiamo vestiti, gli abbiamo dato le biciclette, abbiamo pagato loro la visita medico sportiva, li abbiamo trattati come se fossero stati “nostri” ragazzi e lo erano diventati. Perderli è un grande dispiacere».

«Mi è sembrata una scelta eccessiva», dice Gino Mez, allenatore-promotore del Campo Cona, «ma non voglio polemizzare con nessuno. Capisco quello che possono aver pensato quei genitori, anche se non lo approvo. Ma noi, io e questi ragazzi, continueremo per la nostra strada. La squadra non verrà sciolta e giocheremo le prossime partite in casa dei nostri avversari». Quanto alle preoccupazioni per le condizioni di salute dei ragazzi, Mez assicura: «Sono tutti vaccinati e in salute. Non c’è alcun motivo di avere paura». (d.deg.)

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia