«Non si può fare sport senza il defibrillatore»

Il professor Gaetano Thiene sottolinea l’importanza dello strumento salva-vita «Bisogna combinare la prevenzione primaria con quella secondaria sul campo»
Di Marta Artico

MESTRE. Non si può fare sport senza l’uso del defibrillatore». Ne è convinto Gaetano Thiene, professore ordinario di Anatomia Patologica all’Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari. «Bisogna capire per prima cosa se il giovane era stato sottoposto a tutti gli esami del caso, incluso l’elettrocardiogramma sotto sforzo», spiega, «che potessero averne smascherato anomalie sottostanti, allora non si concede l’idoneità. In caso contrario, doveva avere una qualche patologia che non poteva essere scoperta mediante queste visite. Parlo di patologie alle arterie coronariche, ma ce ne possono essere altre».

Ma Marco Giordano era fresco di esami, visite agonistiche sotto stress, aveva tutti gli esami a posto, appena rilasciati i certificati del caso. «In questo caso significa che aveva qualche cosa che non poteva essere scoperta mediante le visite di routine, è per questo che sosteniamo che bisogna combinare la prevenzione primaria, quindi lo screening, con la prevenzione secondaria, ossia il defibrillatore che serve per mantenere in vita la persona proprio se si verifica un arresto cardiaco».

Non basta, dunque, la rianimazione manuale. «Deve esserci uno shock elettrico che riporti il ritmo cardiaco alla norma. Ripeto, la cosiddetta prevenzione primaria mi dice se il paziente è affetto da patologie, allora si limitano gli sforzi. E se per caso avviene un arresto perché la malattia è di difficile identificazione mediante screening, è necessaria la prevenzione secondaria, il defibrillatore». Chiarisce: «Il problema è il ritardo dell’applicazione della legge Balduzzi, che aveva disposto l’obbligatorietà dei defibrillatori sempre, anche per attività sportive non agonistiche. Il punto è che un conto è istituire una regola e un conto applicarla».

Fondamentale l’elettrocardiogramma sotto sforzo. Ma il giovane aveva fatto anche quello. Come raccontano gli amici. Nel 2015 era stata avviata una campagna dell’Usl e della Regione per dotare le strutture sportive di Dae e per sostenerne la diffusione, la Regione aveva stanziato 100 mila euro e pubblicato un bando relativo anche a chi praticava attività sportiva amatoriale e ludica. Molte palestre e istituti si erano adeguati, ma il decreto Balduzzi è stato più volte prorogato e l’obbligo non è mai diventato legge, tanto che alcuni impianti sono tuttora sprovvisti, al contrario di piazze e vie di centri città dove invece i Dae sono stati installati. Forse non sarebbe servito a salvare la vita del giocatore. Forse sì. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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