«Non ho ucciso Lidia, dormivo» La Busetto si difende in aula

Per la prima volta l’assistente del Fatebenefratelli parla al processo per l’omicidio Pamio «Mi hanno messo sui giornali come il mostro, ma con la signora sono sempre andata d’accordo»
Di Roberta De Rossi

«Io non sono stata, io non sono stata. Non ho sentito niente, mi dispiace, ero a letto, dopo aver finito il mio turno di assistenza agli anziani all’ospedale Fatebenefratelli alle 7 di mattina. Mi sono affacciata per fumare e ho visto il Suem, la Polizia, ho chiesto dalla porta a una dottoressa cosa fosse successo e mi ha detto di tornare dentro perché era accaduto qualcosa di terribile, o orribile...non ho visto il corpo dentro». Così Monica Busetto - ieri - ha fatto sentire la sua voce per la prima volta, al processo che la vede accusata di aver ucciso con vera e propria furia omicida l’anziana vicina di casa Lidia Pamio, soffocata, accoltellata, picchiata al volto. Un interrogatorio durante il quale l’imputata ha più volte ribadito la propria innocenza, ma anche farcito di «non ricordo» in risposta alle contestazioni della pubblico ministero Lucia d’Alessandro, che ha ricordato come invece sorella e cognata avessero detto che la stessa Monica aveva raccontato di aver visto il corpo dalla porta (impossibile) e come la responsabile del Suem abbia categoricamente escluso di aver dato informazioni su quanto accaduto.

Al centro dell’udienza, il confronto tra i periti dell’accusa e della difesa sulla collanina spezzata con tracce di Dna della signora Pamio trovata dagli investigatori tra le gioie di Monica Busetto e i molti insulti telefonici rivolti dalla donna (al telefono con la sorella e altri conoscenti) all’anziana vicina («faccia da ruffiana, faccia da grimio, magari l’avessero uccisa prima, cancara»): «Mi hanno messo sui giornali come la vicina-assassina, il mostro, mi hanno umiliato, mi dispiace delle brutte parole che ho detto, ma ne ho patito anch’io, per un anno ho guardato sotto i letti e dietro gli armadi per paura che capitasse anche a me, ho anche cambiato la porta. Con la signora Pamio sono sempre andata d’accordo».

E allora perché - contesta la pm D’Alessandro - ha rivolto insulti anche prima che la polizia facesse la perquisizione e trovasse la collana spezzata in casa? «Avevo paura...non ricordo», la risposta. E lo zerbino di casa cambiato dopo l’omicidio, senza dirlo alla polizia? «Me l’avevano sporcato con tutto quel via vai, io sono delicata per la casa».

Poi, naturalmente, la collana spezzata, con 3 picogrammi di Dna della vittima, con la difesa a contestare il fatto che il primo medico legale consulente della procura, Luciana Caenazzo, non avesse trovato alcunché, mentre la Polizia scientifica un riscontro certo. Possibile contaminazione, è la tesi della difesa. Respinta ieri dalla stessa Caenazzo («Ho analizzato i reperti sequestrati in casa della vittima e un mese dopo quelli sequatrati in casa Busetto, dopo la perquisizione: nessuna contaminazione»), mentre la responsabile del Servizio Polizia scientifica dell’Anticrimine, Daniela Scimmi, ha spiegato di aver trovato su quella collana «un profilo completo, non un Dna frammentato» dell’anziana vittima, grazie a un kit più sensibile in possesso della Scientifica, che permette di identificare 17 sistemi (contro i 10 del tampone del primo test Identifier) e di “amplificare” le tracce di Dna, in questo caso portandole a 50 picogrammi , duplicando gli spezzoni di Dna. «Quella collana era del battesimo di mia sorella Martina», ha detto ieri Monica Busetto. «Ma se in una telefonata con Martina dice di non sapere se fosse propria sua», controbatte la pm d’Alessandro. Udienza rinviata al 27 ottobre.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia