«Non giudicate, state vicino ai figli»
Le parole del parroco don Roberto al funerale di Sabrina e Luigi. Il fratello Maurizio: «Nessuna assoluzione, uniti nel dolore»
Foto Agenzia Candussi/ Scattolin/ Marghera, chiesa San Michele Arcangelo/ Funerale del poliziotto Luigi Nocco e della moglie Sabrina Panzonato
«Nessuno può permettersi di giudicare né deve farlo, siamo qui per essere vicini ai figli di Sabrina e Luigi, per far sentire loro il calore della comunità, perché il frastuono di questi giorni non si trasformi in vuoto». Lo ha detto all’inizio della funzione il parroco di San Michele, don Roberto Berton, lo ha ripetuto durante l’omelia, guardando verso i banchi della chiesa dov’erano seduti i figli dell’infermiera professionale dell’ospedale dell’Angelo, Sabrina Panzonato e del marito, l’ispettore di polizia Luigi Nocco, che giovedì scorso l’ha prima accoltellata e poi finita con un colpo di pistola. Due famiglie, quelle della coppia, composte nella sofferenza, che ieri hanno saputo dare una lezione di umanità.
In un piazzale gremito di amici e colleghi, i due feretri sono arrivati uno alla volta, sotto il solleone. Percorsa la navata, sono stati adagiati ai piedi dell’altare. Due bare inondate di fiori: bianchi per Sabrina, una pennellata di giallo per il marito. Fissate a due cavalletti, le foto dei coniugi, sorridenti. Le famiglie si sono abbracciate, consolate, asciugate le rispettive lacrime. Le bare sono state seppellite vicine, anche in cimitero, lontane dagli occhi indiscreti, lontane dalla folla.
«Questa cerimonia non vuole assolvere o giustificare il tragico epilogo della storia di Sabrina e Luigi», ha detto Maurizio, il fratello dell’infermiera originaria di Marghera ma residente a Dogaletto, amata e stimata dalle colleghe, «neppure unire i loro corpi dopo la morte. Ma vuole unire con forza il grande dolore che la loro scomparsa provoca in tutti noi». Una sola tragedia difficile da ricomporre. Nessuna forzatura. Cosa provavano, quanto si sono amati, cos’abbiano visto per l’ultima volta i loro occhi prima che la vita li abbandonasse, solo loro lo sanno. «Le famiglie di comune accordo hanno ritenuto di dover soddisfare il desidero dei figli di una celebrazione congiunta per la loro mamma e papà». «Questa cerimonia», ha aggiunto il fratello, «unisce lo sgomento dei familiari e amici di Sabrina e Luigi che non hanno percepito il grave disagio che i due coniugi stavano vivendo e non hanno saputo aiutarli affinché non si giungesse a questa conclusione».
Un
mea culpa
sussurrato in punta di piedi, quasi uno sfogo per non essere riusciti a capire in tempo e fermare il rintocco. «Ogni morte è solitudine», ha detto don Roberto, «ma quando arriva in questo modo, è più faticosa». «Facciamo in modo che il frastuono non diventi vuoto, evitiamo le chiacchiere». Un grande invito, quello del sacerdote, al perdono, unica cura in grado di rimarginare, per quanto possibile, la ferita. «Ce lo dicono le neuroscienze, il perdono è l’unica dimensione che garantisce la vita, il perdono è l’igiene mentale dell’esistenza, è l’igiene del cervello, impedisce che altre forme ci ammorbino e ci facciano ammalare». «Cerchiamo di far crescere», ha aggiunto, «la dimensione guaritiva del perdono che consente alla vita di non inacidirsi, di non perdere il senso dell’esistenza, il signore supplisce alle nostre tante povertà».
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