Noale, assolta l’infermiera accusata di tentato omicidio
NOALE. Forse avrà desiderato di uccidere la moglie del suo amante e ci avrà anche pensato: ma fantasticare non è un reato, anche se si arriva a procurarsi un’arma illegalmente.
Ieri, la Corte di Cassazione - smentendo i giudici del Tribunale di Venezia e poi anche quelli della Corte di Appello - ha assolto Manuela Scantamburlo dall’accusa di tentato omicidio, perché il fatto non sussiste. Accusa per la quale l’infermiera dell’ospedale di Noale era stata condannata a 3 anni e 8 mesi in primo grado e a 3 anni, 4 mesi e 20 giorni in Appello, con in più il pagamento di una provvisionale di 30 mila euro quale risarcimento alla donna. Provvisionale anch’essa cancellata, ieri, dai giudici della Corte Suprema.
Sentenza definitiva, sul punto, dal momento che i giudici di Cassazione hanno disposto il rinvio a giudizio per un nuovo processo d’appello solo per l’altro capo di accusa, ovvero il possesso e la ricettazione della pistola, con la quale la donna avrebbe - secondo le originarie accuse - voluto uccidere la moglie di quello che considerava il “suo” uomo. «Finalmente, dopo tanta fatica, abbiamo trovato ragione definitiva a quello che sostenevamo da sempre», festeggia l’avvocato difensore Graziano Stocco, «ovvero che Manuela non voleva uccidere nessuno: si è trattato dell’idea farneticante di un attimo, ma niente più. Era ora che venisse riconosciuto che non c’è mai stato alcun intento omicida».
La storia risale al 2010, quando i carabinieri intercettarono l’auto della donna e trovarono la pistola. L'infermiera era sospettata di aver ideato e organizzato un piano per uccidere la moglie del suo amante, un medico del nosocomio dove lavorava, ed era stata giudicata dagli psichiatri capace di intendere e volere. La Scantamburlo aveva acquistato l’arma a Genova: l’uomo trovato in auto con lei ha patteggiato la pena a due anni di reclusione per la detenzione dell’arma, mentre un collega della donna aveva raccontato che avrebbe dovuto ingaggiare due persone per rapire la donna e portarla in un boschetto, dove Scantamburlo l’avrebbe uccisa. Ne erano nate intercettazioni telefoniche, indagini e poi l’arresto di Manuela Scantamburlo, che tra carcere e domiciliari ha fatto due anni agli arresti.
Fantasie lontane dal trasformarsi in realtà. Del resto, ieri, in corso d’udienza, lo stesso Procuratore generale ha sostenuto che non si possa configurare il tentato omicidio se manca qualsiasi atto, anche in nuce, che dia il via all’azione violenta vera e propria. Ora la parte civile, rappresentata dall’avvocato Luigino Martellato, potrà comunque decidere di proseguire nella causa civile per il risarcimento del danno.
Roberta De Rossi
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