“Nizioleti” e toponomastica la decisione slitta a gennaio
Seguire i sentimenti dei veneziani e non toccare i nizioleti oppure lasciare un segno nella storia e modificarli, osando un azzardo già capitato nel corso dei secoli? L’amministrazione comunale si trova da ieri ufficialmente davanti a un bel dilemma, ma il responso sul futuro dei nizioleti si saprà soltanto il prossimo anno, dopo una pausa di riflessione natalizia. Una cosa è certa: non esistono regole linguistiche o analisi filologiche che attestino che una dicitura è più corretta dell’altra. Esiste però un sentire popolare che non segue una ragione se non quella istintiva del cuore che non accetta di vedere modificato il volto di Venezia. L’argomento sui nizioleti è stato sviscerato ieri pomeriggio in uno dei luoghi veneziani passato alla storia per la sua laicità, l’Ateneo Veneto. La toponomastica veneziana è stata affrontata in un clima di dialogo sereno, alla presenza dell’assessore Tiziana Agostini, degli esperti Lorenzo Tomasin, Elena Triantafillis, Gianna Marcato, dello scrittore Tiziano Scarpa e dei rappresentanti del gruppo «Il passato e il presente dei nizioleti» che hanno realizzato un sondaggio dove risulta che quasi tutti i votanti preferiscano non modificare i nizioleti.
La maggior parte degli interventi ha valorizzato la ricchezza della lingua veneziana, frutto della stratificazione di una storia secolare. Per Tomasin, se proprio si deve trovare un riferimento, quello è il dizionario di Giuseppe Boerio. La Triantafillis ha ricordato come alcune parole provengano da altre culture (Arsenale dall’arabo e pantegana dal greco), dicendo che sui toponimi bisognerebbe mettere l’etichetta «maneggiare con cura». «La lingua – ha sottolineato la Marcato – non è il risultato di una rigida trascrizione. I nizioleti sono ciò che dice al veneziano lo stato della cultura della sua città, per questo se uno è abituato a vederlo in quel modo e gli piace che resti così».
La polemica sulla riscrittura dei nizioleti era nata in quanto alcune parole erano state modificate aggiungendo una lettera (Terà in Terrà, Salizada in Salizzada, Madoneta in Madonnetta). Scarpa ha ricordato invece come Goldoni prediligesse le doppie in quanto davano energia alla lingua: «Dobbiamo domandarci – ha specificato – se prenderci una responsabilità storica o se accettare di fare la storia con alcune modifiche, cosa che in alcuni casi si può fare». Per adesso si farà una ricognizione dei termini scritti nei modi più svariati per poi riparlarne a gennaio. Il gruppo di cittadini voleva partecipare prima al dibattito. L’assessore ha risposto che si era partiti con i lavori a marzo 2012, rendendo pubblica l’iniziativa. Intanto si procede con Pellestrina, dove in alcuni punti mancano i nomi delle calli e ci si affida alla memoria popolare.
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