Niente patteggiamento, Vazzoler a processo
Nessun patteggiamento. Nessuna pena concordata. Il boss del riciclaggio internazionale, Alberto Vazzoler, voleva trattare una sanzione di due anni, la sospensione condizionale e, versando due milioni e mezzo di euro, di fatto ricomprarsi, oltre alla libertà, anche i beni sequestrati dall’autorità giudiziaria: due attici (a Padova e a Jesolo), due barche e due auto di lusso. Niente da fare.
Non ci sta il pm di Padova Roberto D’Angelo: quei beni vanno confiscati per legge perché sono stato acquistati con i soldi dell’attività criminale. E, allora, va a processo il 9 gennaio davanti al tribunale della città del Santo il dottor Vazzoler, dentista sulla carta, in realtà esperto di criminalità dei colletti bianchi, di Musile di Piave, padovano d’adozione e ben conosciuto nel Trevigiano dove aveva aperto gli uffici di Netfraternity, nata negli anni ’90 all’alba della rete dall'idea di rimborsare gli internauti in cambio dell'accettazione di inserzioni pubblicitarie.
Le accuse? Associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio internazionale di soldi (per una cifra sui 46 milioni di euro), accumulati in Svizzera da evasori fiscali e monetizzati superando il “confine” di qualsiasi controllo e i costi della voluntary disclosure. Controllo più forte in seguito agli accordi fra Italia e Svizzera del 2015 che hanno fatto crollare la barriera, prima invalicabile, del segreto bancario elvetico.
La pubblica accusa gli contesta di essere stato mente e gestore di un sistema che, appoggiandosi a società nella Repubblica Ceca, in Slovacchia, Croazia, Svizzera e a Dubai, movimentava danaro e documentazione finanziaria rendendo impossibile identificare tanto la provenienza (erano fondi sfuggiti al Fisco italiano) quanto la direzione di quei fiumi di soldi. Risultato: si trattava di operazioni di riciclaggio. Grazie a false fatture e giroconti fra più istituti di credito, il danaro era trasferito in conti negli ex Paesi dell’Est e poi a Dubai.
Da qui era di nuovo ricollocato in Svizzera e restituito ai clienti, previo versamento di una provvigione alla banda tra il 5 e il 10 5 % dell’importo movimentato. I soldi venivano resi liquidi e fruibili ma restavano non tracciabili. Dal Medio Oriente alla Svizzera il danaro rientrava come pagamento per l’acquisto di lingotti d’oro: i soldi erano spediti con il corriere specializzato Loomis International o Mill Sutter A.G.. Con piena soddisfazione dei clienti, evasori che non avevano aderito alla voluntary disclosure, lo strumento che ha consentito agli italiani con patrimoni all'estero, sconosciuti all'Agenzia delle entrate, di fare pace con il fisco e di regolarizzare la loro posizione anche sul piano penale, pagando imposte scontate.
Finito dietro le sbarre il 25 maggio e da fine giugno agli arresti domiciliari nella casa di famiglia a Musile di Piave, Vazzoler ha ammesso le proprie responsabilità. Ha fatto qualche nome. E poi ha iniziato a trattare. Obiettivo: patteggiare una pena contenuta, pagare (con milioni di euro provenienti da chissà dove, visto che in Italia risulta nullatenente e ci sono creditori che reclamando ancora soldi da lui) e non cedere di un millimetro sui beni immobiliari dritti in marcia verso la confisca. In particolare il superattico di Jesolo (274 metri quadrati nella torre Mizar in piazza Drago, con vasca idromassaggio affacciata sull’Adriatico intestata alla società Mare Calmo); l’attico in piazza dei Frutti a Padova sempre con idromassaggio su Palazzo della Ragione intestato alla sorella Stefania Vazzoler; la barca Sunseeker e il Primatist Abbate (intestate a una società monegasca), una Maserati Levante e una Jaguar XK. Adesso va a processo. Da solo, almeno per ora. —
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia