Niente mascherine in stoffa, è polemica Il diktat del Cts non piace ai genitori

Simone Bianchi / MESTRE
Tra mascherine e gel che non arrivano e i lavori ancora in corso, monta la polemica per l’obbligo a usare le mascherine chirurgiche in classe rispetto a quelle di tessuto lavabile. Da giorni molti genitori si chiedono il perché di questa scelta imposta dal Comitato tecnico scientifico e in fase di applicazione da parte del Governo. Una scelta che comporterà il consumo di circa 11 milioni di mascherine al giorno tra alunni di varia fascia di età, dalle elementari a salire, docenti e personale Ata.
REAZIONI
Sui social impazzano i commenti contrari, specie di mamma e papà, ma anche dei singoli studenti. Il comune denominatore tocca tre argomenti principali: il costo per le mascherine che saranno necessarie se obbligatorie, chi ci guadagnerà da questa operazione colossale, e che senso ha dal momento che le altre mascherine lavabili e riutilizzabili (quelle in stoffa per intenderci) si possono utilizzare senza problemi nei negozi, nei ristoranti, nei bar e perfino sui mezzi di trasporto, e non mancano altri esempi. I dirigenti scolastici sentiti ieri in provincia di Venezia, hanno già detto che si atterranno a quanto disporrà il ministero, ma non mancano le eccezioni come per esempio Luigi Zennaro, dirigente dell’istituto comprensivo di Camponogara, con quasi mille alunni che ogni giorno dovranno indossare la mascherina usa e getta. «Non sono un medico, ma su queste cose ci si poteva mettere d’accordo anche due mesi fa, non certo all’ultimo momento», osserva. «All’uscita da scuola ci saranno contenitori per gettarci le mascherine usate, ma mi aspetto che in giro per Camponogara se ne trovino poi ovunque. Dal punto di vista pratico, era più logico usare quelle lavabili. Ne consumavi una al mese, raggiungevi un accordo tra scuola e famiglie, e non ci si trovava in questa situazione. A oggi mi sono arrivate le mascherine chirurgiche, ma ne ho tante da garantirmi quattro giorni di scuola se va bene». Gli altri dirigenti mettono avanti le mani, non si professano medici o specialisti di settore, e girano alla larga dalla polemica. Una motivazione la dà però Monica Guaraldo, dirigente dell’Istituto Majorana di Mirano: «Nel corso dell’estate è stato fatto un webinar per noi presidi, al quale ha partecipato il dottor Crisanti. Ha spiegato che le mascherine chirurgiche sono il presidio migliore, quindi la ritengo una fonte decisamente autorevole sul perché fare questa scelta». Ma i genitori non sono d’accordo.
GEL
Nel frattempo, a ieri nessuna scuola, indipendentemente dal grado, aveva ricevuto il gel igienizzante per le mani. Aspetto stigmatizzato non poco dai dirigenti scolastici, che tuttavia rimangono fiduciosi, mentre le mascherine chirurgiche stanno iniziando ad arrivare (con numeri ben lontani da quelli promessi dal ministro Azzolina). C’è chi ne ha avuti un paio di pacchi, chi duemila pezzi e chi pure di più, in base al numero di studenti iscritti, quantitativo sufficiente a far entrare in classe solo il 14 settembre, come fa notare Nicolò Ferriolo, dirigente dell’istituto comprensivo Mattei di Meolo e Fossalta.
BANCHI
Altro problema rimangono i banchi anti Covid, dei quali non si è vista neppure l’ombra, per adesso, in tutta la provincia di Venezia. Una parte è arrivata solo nel Trevigiano e nel Padovano, gli altri tutti a bocca asciutta, e c’è chi aspetterà fino a ottobre. «Se li abbiamo ordinati ci sarà anche un motivo», afferma dall’Istituto Foscarini, il preside Massimo Zane. E poi ci sono i lavori in corso, tuttora ovunque, anche se il grosso è stato fatto. Nuovi ingressi, muri abbattuti, laboratori e aule magne trasformate in classi. E chi, come all’Algarotti di Venezia, che ha dovuto reperire aule in un altro sestiere. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia