"Niente elemosina, a chi bussa diamo cracker e tonno"
MESTRE. Quattro pacchetti di cracker e una scatoletta di tonno al posto della moneta da un euro che veniva data a chi, il mercoledì, bussava alla porta della canonica per chiedere un aiuto, spesso spiegando che quei soldi li avrebbe spesi per mangiare. «Già dopo la prima settimana al posto delle 115 persone se ne sono presentate 30 di cui solo 19 hanno accettato il pacchetto con il cibo. Oggi, a distanza di oltre due mesi dall’inizio di questa prova, le persone che ci vengono a chiedere aiuto sono 7-8, comunque mai più 10. Dopo aver visto come è andata, ho deciso di non tornare indietro». A parlare è don Roberto Trevisiol, 65 anni, arciprete della chiesa di San Giorgio, parroco della comunità di Chirignago dal 1987.
Da tempo ha abituato i fedeli che frequentano la parrocchia alle sue prese di posizione. Anche la decisione di sostituire l’elemosina con cracker e tonno sta facendo discutere, tanto che anche il fratello di don Roberto, l’86enne don Armando Trevisiol, fino al 2005 parroco di Carpenedo e ideatore dei centri Don Vecchi, è intervenuto sul suo seguito blog: «Con tutto il rispetto e la stima che ho per mio fratello ho l’impressione che il comandamento del Vangelo: “Ama il prossimo tuo come te stesso” esca piuttosto malconcio dalla sua soluzione. La “toppa” non solo non risolve ma aggrava il problema».
Una scelta che però il fratello più giovane difende e motiva così. «All’inizio davamo l’elemosina tutti i giorni ma c’era chi si presentava ogni giorno, sfruttando il fatto che ogni giorno trovava una referente diverso. Poi è stato deciso di distribuire l’elemosina solo il mercoledì». All’inizio erano due euro a testa, una piccola somma che poi nei mesi si è deciso di dimezzare. «Ma il numero di persone continuava ad aumentare, ed era arrivato a più di cento», prosegue l’arciprete, che ha deciso così di fare due conti. Una media di 115-120 euro alla settimana, per un intero anno, e un totale di oltre 6.200 euro. «Siamo sicuri che siano spesi nel modo giusto?», si sono chiesti in parrocchia, decidendo di cambiare rotta. Introducendo così il piccolo pacchetto per il pranzo al posto dell’obolo. «Le persone si sono passate parola tra di loro, e ora molti non vengono neppure a suonare», prosegue il parroco che nelle scorse settimane aveva anche condiviso il suo punto di vista con i parrocchiani nel foglio informativo della chiesa. «Dare un euro non serve, perché la fame è spesso l’ultima preoccupazione di queste persone», ricorda ancora il parroco, «che spesso usano i soldi per andare a prendere le sigarette, per andare a bere o, nel peggiore dei casi per la dose giornaliera di sostanze».
Questo non vuol dire però che alla chiesa di San Giorgio non si aiuti chi ha «davvero bisogno», per usare le parole dell’arciprete. «Capisco che tra i mendicanti che chiedono l’euro ci sia anche chi lo fa non per fame, ma perché deve mantenere moglie e figli, o perché ha bisogno di una scheda telefonica per chiamare a casa, quando sono stranieri». Ma come si fa a distinguere chi si trova in difficoltà da chi vuole comprarsi una lattina di birra al supermarket vicino alla chiesa? «Lo so, è difficile», aggiunge don Trevisiol, «ma noi cerchiamo di farlo attraverso la nostra Caritas, conoscendo le famiglie che si rivolgono a noi, andando a trovarle a casa per capire meglio le loro difficoltà. Credo che questo sia il modo migliore per aiutare chi non ce la fa, nell’ambito della nostra comunità. Anche perché i mendicanti che bussavano alla porta della canonica per avere i soldi, nella maggioranza dei casi arrivano da fuori parrocchia».
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