«Nessuna prova per le accuse»
«Bisogna dare merito al pubblico ministero che questa ricostruzione è stata quasi immediatamente abbandonata: l’accusa infamante dei due dichiaranti e la supposizione altrettanto superficiale delle due persone informate sui fatti non hanno trovato alcun seguito. Al tempo stesso, però, la ricostruzione in chiave di abuso d’ufficio perde il suo tassello fondamentale.
L’accusa non ha infatti neppure un principio di prova sul quale ancorare la ragione per la quale il sindaco Francesca Zaccariotto, con la collaborazione della dirigente Eugenia Candosin, avrebbe dovuto favorire Luciano Maritan a discapito dell’interesse pubblico».
A scriverlo è il giudice veneziano Massimo Vicinanza, che il 20 gennaio scorso aveva assolto perché il fatto non sussiste l’ex sindaco Zaccariotto, la dirigente Candosin e il pregiudicato Luciano Maritan dalle accuse di abuso d’ufficio e falso.
Stando all’accusa, Zaccariotto e Candosin avevano favorito Maritan facendogli vincere un bando per svolgere per tre mesi il guardiaparco con un guadagno totale di cinquemila euro. Ieri, il magistrato ha depositato in cancelleria le motivazioni della sua decisione di un mese fa. La ricostruzione che i pm Carlotta Franceschetti e Walter Ignazitto hanno abbandonato era quella fornita da due collaboratori di giustizia, Luca Fregonese e Bernardo Litrico, i quali avevano suggerito che tra Maritan e Zaccariotto vi fosse uno stretto legame proprio perché il primo era uno spacciatore di droga. Inoltre, anche due altri testimoni, entrambi dipendenti comunali, avevano lasciato intendere che l’allora sindaco avesse voluto agevolare «un personaggio come Maritan perché era da questi ricattata per la questione della droga».
Il giudice veneziano sostiene che le dichiarazioni iniziali non potevano non provocare le investigazioni poi sviluppate dagli inquirenti, lasciavano infatti intendere che il legame tra i due sarebbe stato «turpe da un lato, sconcertante dall’altro», visto che «il sindaco di quella città sarebbe stato legato a Maritan proprio perché era uno spacciatore di droga e lei una consumatrice». Una ricostruzione del tutto priva di qualsiasi fondamento che gli stessi inquirenti hanno appunto abbandonato.
Il giudice ha sostanzialmente sposato le tesi della difesa, portate avanti dagli avvocati Renzo Fogliata, Annamaria Marin e Piero Barolo.
Innanzitutto, quella da cui sarebbe stato estratto il nome di Maritan non sarebbe stata una graduatoria in senso tecnico «perché nessuna norma di legge prevede, per assegnare i buoni lavoro, né l’espletamento di un concorso, né l’indicazione di criteri rigidi di assegnazione». Tra l’altro, anche per ulteriori incarichi simili a quello assegnato al pregiudicato, sono state scelte persone «prescindendo dalla posizione e dai punteggi già assegnati».
La scelta, insomma, sarebbe confinata nell’alveo dell’opportunità amministrativa. «Anche quindi a ritenere che pur di imporre la scelta», conclude la sentenza del giudice veneziano, «il sindaco abbia indotto un funzionario a dirigere l’azione amministrativa in modo illegittimo o addirittura in violazione della legge, va ribadito che non vi è alcuna prova che ciò facendo egli non volesse perseguire anche il fine pubblico, ma solo avantaggiare il privato».
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