Neonato morì dopo il parto all'ospedale di Mestre, condanna per l’Usl
MESTRE. L’utero della mamma che si lacera nel corso di un drammatico parto all’ospedale civile di Mestre, il cesareo effettuato troppo tardi, il piccolo Mohamed Sami che - nonostante il trasporto d’urgenza all’ospedale di Padova - muore per le conseguenze dell’asfissia. Era il 1 maggio 2009.
Nel 2013, il Tribunale di Venezia ha assolto dall’accusa di omicidio colposo il ginecologo e le due ostetriche che avevano assistito la mamma nelle ore della tragedia, ritenendo che la decisione di effettuare il parto cesareo fosse stata presa quando la sofferenza fetale del piccolo si era fatta evidente.
Nei giorni scorsi, invece, i giudici della Corte d’Appello hanno rovesciato il giudizio, ritenendo il medico responsabile per la morte del neonato e condannandolo a risarcire insieme all’Asl 12 (ora Asl 3 Serenissima) i danni alla famiglia: 221 mila euro alla mamma, 181 mila al papà e 50 mila euro alla piccola sorella. Più interessi e spese legali. Nessuna condanna penale in termini di mesi di reclusione, per il ginecologo N.G., ma il riconoscimento del suo errore di valutazione e l’obbligo per lui e l’Asl di risarcire le vittime.
A ricorrere in appello, infatti, impugnando la sentenza di assoluzione, era stata la sola famiglia del piccolo Sami (con gli avvocati Loffredo, Dragone e Alberini) e non la Procura, perché nel frattempo l’accusa di omicidio colposo è ormai prescritta: ma non l’obbligo di pagare i danni alla famiglia, anche se un trauma come la perdita di un figlio non si può certo placare solo con il danaro.
Confermando l’assoluzione per le due ostetriche - «Non potendo a loro essere addebitata la carente organizzazione del reparto di Ginecologia dell’ospedale di Mestre» , in quel 2009 - i giudici d’appello hanno ritenuto che errore medico ci sia stato, a fronte della decisione di procedere con un parto naturale, nonostante la donna avesse già dato allo luce una bambina con taglio cesareo. «È stato spiegato dai periti e dai consulenti tecnici», si legge in sentenza, «che la scienza medica concorda nel ritenere che la gravidanza successiva ad un parto con taglio cesareo presenta fattori di rischio maggiori rispetto alla gravidanza preceduta da un parto naturale e che dunque è necessario compiere una valutazione circa le modalità del parto, se ancora cesaro o naturale».
La Corte riconosce che negli ultimi tempi la scienza «riconosce la possibilità di parto naturale dopo un precedente cesareo, ma è necesariua una specifica valutazione di ammissibilità. E il dottor G. ha compiuto questa valutazione». Sbagliandola. «Nel corso del travaglio si è verificata la rottura dell’utero, che è lo specifico rischio del parto naturale dopo un precedente cesareo», osservano i giudici, «e proprio in corrispondenza della pregressa incisione». Secondo la Corte il medico non avrebbe valutato correttamente i fattori di rischio: ha ritenuto il feto più leggero (4 chili invece dei reali 4,67), pur avendo seguito la donna nelle ultime settimane di gestazione. Un errore «ben superiore al margine del 10% riconosciuto come possibile», che «la perizia nell’utilizzare l’ecografo per rilevare le misure» del piccolo avrebbe evitato, e che doveva portare a una valutazione «di non ammissione al parto di prova», ma alla programmazione di un cesarieo. Una colpa grave medica che ora va risarcita alla famiglia.
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