Neonatalità, l’Angelo punto di riferimento
Anche Mestre ricorda la giornata della prematurità La felicità di un genitore: «Qui un’accoglienza favolosa»
La Patologia neonatale dell’ospedale dell’Angelo si conferma un punto di riferimento provinciale per le famiglie alle quali nascono bambini prematuri. Oggi anche a Mestre verrà ricordata la giornata mondiale della prematurità (dedicata stavolta ai padri) con due appuntamenti: alle 15.15 un incontro nell’aula blu con medici e associazioni dei genitori, dalle 17 nel reparto dove potranno accedere, con più tempo a disposizione per stare accanto ai bambini, sia i nonni che fratelli e sorelle dei piccoli pazienti.
«Dall’inizio dell’anno all’Angelo sono nati 1.682 bambini, di cui 148 con patologie a rischio e la maggior parte di questi prematuri», spiega la dottoressa Paola Cavicchioli, responsabile della terapia intensiva neonatale di Mestre, «in 30 casi pesavano meno di un chilo e mezzo, la soglia più pericolosa per i prematuri. Nel 2016 i nati erano stati invece 1.937, con 188 ricoveri di cui 30 per bambini sotto il chilo e mezzo. Il nostro reparto è aperto H24 per i genitori, che poi vengono coinvolti nell’assistenza ai figli. All’Angelo vengono fatti nascere tutti i casi complessi in arrivo anche dagli ospedali di Venezia, Chioggia, Dolo e Mirano. Quelli più gravi in assoluto sono dirottati però a Padova».
In occasione della VII Giornata mondiale della prematurità, il simbolo scelto sono dieci scarpine, di cui una più piccola, perché un bambino su dieci nasce prematuro. A testimoniare la sua esperienza di queste settimane è Luca Crosato, padre di due gemelli nati prematuri e ancora in attesa di poter lasciare il reparto. «I bambini sono nati a Padova e, dopo quattro giorni di terapia intensiva, sono stati ricoverati all’Angelo per avvicinarci a casa», racconta, «a Mestre abbiamo trovato un’accoglienza a dir poco favolosa, una famiglia vera e propria con tante “zie” acquisite. Abbiamo dovuto imparare a conoscere nuove emozioni fortissime tra ansia, attesa e speranza, e il distacco dal bambino non è stato facile per entrambi. Un trauma anche psicologico per i genitori, che possono vedere i loro piccoli guerrieri solo attraverso una scatola trasparente. È stato un lungo percorso» , aggiunge Luca Crosato, «da padre lo si vive in modo diverso, perché si cerca di nascondere le ansie per non pesare sulla compagna, affinché lei trovi un conforto e per compensare quanto sta accadendo. Il sostegno da parte del personale ospedaliero è sempre stato totale verso di noi, indistintamente. Ora abbiamo comunque tanta voglia di tornare a casa tutti assieme per festeggiare».
Simone Bianchi
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