Nell’Africa dimenticata dove sopravvive la speranza
LA STORIA. Apri la mail e l’occhio cade su una foto che arriva da lontano dal Sud Sudan. E capisci subito che non è una foto qualsiasi. Qui c’è una storia, piccola e potente, da raccontare.
Una bimba piccolissima, appena nata, dorme sotto l’occhio vigile della mamma. Entrambe sono distese a riposare tra lenzuola coloratissime. La mamma ha occhi solo per sua figlia.
La foto documenta la quotidiana battaglia per venire al mondo e vivere in luoghi poveri e inospitali. Sono i luoghi del “a casa loro” che risuona, senza un riferimento concreto al vero aiuto, quando da noi si discute di immigrazione, sbarchi, accoglienza.
«Questa foto è stata scattata da Raffaella, la nostra pediatra in servizio qui all'ospedale di Yirol. La bimba è nata prematura, pesava un chilo e mezzo. Le sono state fornite tutte le cure necessarie per la sopravvivenza. La mamma è arrivata in ospedale da un villaggio e, fortunatamente, è tornata a casa, nella sua capanna, con la sua ultima nata, la nona, pronta ad affrontare la sua nuova vita».
A raccontare la storia di una bimba nata prematura e della sua mamma è la mestrina Paola Artico, 61 anni, che lavora come volontaria per i Medici con l’Africa del Cuamm che hanno condotto in porto la campagna “Mettiamoci in moto”, sostenuta dai giornali veneti del gruppo Gedi.
Parlare con Paola non è facile: ha tantissime cose da fare ed è per natura schiva, poco amante dei riflettori. Lo si capisce subito. Nella sua vita ha viaggiato tantissimo, in particolare in Africa, con un lavoro nel turismo. «Da febbraio mi trovo a Yirol, nel Eastern Lakes State del South Sudan, con Medici con l’Africa Cuamm. Ci starò per almeno sei mesi. Diverse sono le ragioni che mi hanno portato a fare questa esperienza; è una idea che coltivo da tempo», ci racconta la volontaria.
«Per 40 anni ho lavorato nel settore del turismo e ho vissuto in Africa in alcuni periodi della mia vita seppur in contesti completamente diversi. Ora, posso rendere un po’ di quanto ricevuto in tutti questi anni». L’Africa nera vissuta per lavoro diventa terreno di lavoro per aiutare la popolazione “a casa sua”, con non poca fatica. Un modo per ridare. «Qui a Yirol, la vita è tosta. Non tanto per noi “kawaja” (il nome con cui nel Sud Sudan si indicano i bianchi, ndr) che bene o male, privandoci di un po’ di superfluo, riusciamo a vivere decorosamente», continua Paola Artico.
Si riferisce, chiarisce, «a chi ha avuto in sorte il nascere e morire in questo posto dimenticato dal mondo. Qui a Yirol, Medici con l’Africa Cuamm sostiene l’ospedale locale e si adopera affinché possano essere raggiunti alcuni villaggi che si trovano nel cuore della savana, a molti chilometri di distanza dal centro abitato, per fornire cure mediche primarie con particolare attenzione a mamme e bambini. E noi cerchiamo di dare il nostro contributo». Le 25 moto-ambulanze comperate con la campagna in Veneto del Cuamm Medici con l’Africa servono proprio a raggiungere villaggi lontani, in zone impervie, e prestare aiuto ai malati o ad una mamma che sta per partorire. Chiediamo alla signora Paola cosa sta imparando da questa esperienza e cosa possiamo imparare noi qui in Italia, che vediamo l'Africa solo come un grosso problema di migrazioni.
«L’unico pensiero che riesco a fare è che finché ci sarà questa enorme disparità tra nord e sud del mondo, fino a quando le grandi differenze (e ingiustizie) economiche e sociali persisteranno a questi livelli, non ci saranno soluzioni per l’Africa e tantomeno per l’Italia».
Mitia Chiarin
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia