«Nel Veneziano, tante vittime di sexting: come evitare di cadere in trappola»
VENEZIA. «Non c’è consapevolezza tra gli adulti, figuriamoci tra i minori. Noi impariamo velocemente a utilizzare lo strumento, ma non capiamo cosa stiamo facendo ed ecco che iniziano i guai».
A parlare un investigatore della Polizia postale del Veneto che da anni si occupa dei reati commessi in rete. Quello commesso ai danni della ragazza si inquadra in quello che viene tecnicamente chiamato “sexting”, uno degli abusi più commessi in rete. E come gli altri che vanno dal furto d’identità al furto di dati, li combattono gli investigatori della Polizia postale e delle comunicazioni. Si tratta di veri esperti che da anni si occupano di qualsiasi reato venga commesso in rete.
Spiega l’investigatore: «In questi casi come spesso avviene, accusare i social network è sbagliato e non serve a nulla. Non è facile che Fb o Instagram o lo stesso Whatsapp possano creare un sistema autonomo di verifica della rete. Esiste per video e immagini un sistema di allerta, internamente ai social. Pensare che esista uno strumento che valuti se il post è diffamatorio o meno, è fuori luogo. Immaginare che un’intelligenza artificiale possa valutare quando il messaggio è violento o diffamatorio, anche perché deve essere compreso il contesto. Per questo motivo è importante sensibilizzare gli utenti dei social a un uso corretto, che tenda a evitare la diffusione di messaggi non appropriati. Bisogna che gli utenti segnalino al social l’uso distorto dello strumento e se occorre presentare anche denuncia alle forze di polizia.
La Polizia postale da anni è impegnata nell’educare le persone, fin da quando sono ragazzini alla consapevolezza: se posto o mando una foto o il numero a qualcuno, mi sto esponendo e devo essere consapevole che questa esposizione è un rischio e che quell’immagine e quel numero potrebbero essere usati contro di me. La Polizia precisa che questo vale per adulti e minori. Una volta caduti in trappola, poi, è complicato far valere le proprie ragioni. Spiega l’investigatore: «Fb e Instagram hanno sede legale in Usa e va tenuto conto il principio della doppia incriminazione: quello che è reato in Italia lo deve essere anche in America. Per esempio la diffamazione in Italia è sempre reato, mentre non sempre lo è per la legge americana. Il minore deve disporre di uno strumento informatico solo quando ha un minimo di responsabilità. Regalare subito uno smartphone lo trovo pericoloso perché il bambino non ha gli strumenti per capire cosa ha in mano. Fin da piccoli ci insegnano a come muoverci in strada, ad attraversare sulle strisce, a fermarci al semaforo, ma su internet no: non siamo abituati a capire dove stiamo andando e con chi stiamo parlando. Manca questo tipo di educazione anche perché Internet in 10 anni si è evoluto in una maniera che nessuno poteva prevedere. Siamo bravi utilizzatori ma pessimi conoscitori».
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