«Nel Veneto troppi capannoni dismessi diventano magazzini di rifiuti proibiti»

L’allarme del comandante generale dei carabinieri del Noe: «I cittadini e i Comuni diventino le sentinelle sul territorio»

VENEZIA. Da un lato migliaia di capannoni vuoti, làscito ingombrante della crisi. Dall’altro tonnellate di rifiuti da stipare, nascondere, al di fuori delle strade legali della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. Nel Veneto è già successo a Fossalta di Piave, Candiana, Breda di Piave e, pochi giorni fa, a Rovigo. Per questo il generale di brigata Maurizio Ferla, comandante Tutela ambiente e del Noe dei carabinieri, lancia un appello: «Vigilate sui capannoni vuoti, controllate, chiamateci».

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I destinatari del suo messaggio sono i sindaci, i residenti, gli imprenditori i cui capannoni confinano con quelli che fanno gola ai trafficanti di rifiuti Sulla rotta del Nordest. Dove, dicono dal Noe, potrebbero essercene altri.

Più in generale, l’attività di controllo nel primo trimestre del 2019 su impianti di raccolta e trattamento di rifiuti ha rivelato che, a fronte di 76 controlli, quasi un’azienda su tre (21) è stata trovata non in regola, per 430 mila euro di sanzioni (12) e sequestri, tra capannoni, materiali e attrezzature, per 1,3 milioni.

Capannoni & rifiuti

Ieri Ferla ha visitato la sede del nucleo operativo di Marghera (l’altra in Veneto è a Treviso) retta dal comandante Roberto Rapino tracciando la foto dei reati ambientali e del traffico di rifiuti in Veneto, a partire proprio dai casi dei capannoni che vengono riempiti di rifiuti. «Non c’è un allarme particolare», dice, «ma la situazione va tenuta sotto controllo».

Perché ci sono alcuni dati dai quali non si può prescindere. Negli ultimi tre anni il 45% degli incendi a depositi di rifiuti è stato registrato nelle regioni del Nord Italia, e circa il 70% dei capannoni imbottiti di rifiuti è stato scoperto al Nord. Perché i trafficanti di rifiuti si muovono così: «Se il capannone è sicuro, lo riempiono di rifiuti e poi lo abbandonano. Se non lo è viene dato alle fiamme».

Dalla terra dei fuochi alle terre dei fuochi, diffuse anche al Nord. «Incendi liberatori», li definiscono i Noe, perché servono per liberarsi dei rifiuti e, sul lungo termine, creare nuovo spazio. I capannoni più a rischio sono quelli delle società fallite, spesso in mano agli istituti di credito, incustoditi e senza vigilanza. «Ma ci sono anche proprietari senza scrupoli».

E imprenditori con l’acqua alla gola, tentati dai soldi facili. E veloci. Per questo è fondamentale vigilare: «Sul viavai di camion mai visti in una determinata zona industriale, sui capannoni che vengono riaperti dopo essere stati chiusi per anni». Una sorta di controllo di vicinato allargato alle zone industriali. In Piemonte, di recente, ha funzionato, ricordano i Noe: «Due capannoni sono stati scoperti grazie alle segnalazioni di imprenditori di quella zona artigianale».

Frontiere chiuse

Lo stoccaggio nei capannoni di rifiuti in arrivo dal Sud - dove sono ancora molte le regioni che non riescono a chiudere il ciclo dello smaltimento, incrementando gli affari per i traffici illeciti - e da aziende locali è anche il risultato, nell’analisi del carabinieri del Noe, della maggiore difficoltà nei traffici esteri, nello scaricare verso la Cina o l’India, dove legislazioni e controlli si sono fatti più rigidi, tonnellate di rifiuti. Anche se ci sono nuove rotte: Paesi Balcanici e Africa, per i rifiuti elettronici e i pannelli fotovoltaici di prima generazione, a base di silicio, ormai arrivati alla fine del loro ciclo di vita. Ma se ci sono frontiere che si chiudono, ci sono capannoni che si aprono.

I casi in veneto

A Fossalta di Piave sono stati trovati 11 mila metri cubi di rifiuti urbani e industriali, nell’ambito di una operazione della direzione distrettuale antimafia di Milano. A Candiana il sequestro risale al settembre del 2018, soprattutto scarti di lavorazioni tessili, in un capannone della zona industriale che era stato preso in affitto. A Fiesso Umbertiano (Rovigo) il sequestro è scattato a inizio marzo, nel capannone di una società fallita, dove c’erano circa 5 mila metri cubi di rifiuti (plastiche e residui tessili). A Breda di Piave, ha raccontato il sindaco pochi giorni fa, è stato bloccato, tra il dicembre del 2017 e il dicembre del 2018, alcuni camion provenienti da Salerno, per conto di una società piemontese, hanno stipato un capannone da diecimila metri quadrati con rifiuti. E poi a Vicenza i casi di Gambellare e Asigliano che hanno fatto dire al procuratore delle città berica, Antonino Cappelleri: «Ho il timore che questa provincia stia diventando il magazzino delle mafie».

I controlli

Mafie, ma non solo. Per dirla con le parole usate ieri dal comandante del Noe: «Un duro banco di prova è dato dai colletti bianchi, con tecnici, consulenti e avvocati preparati». Il 75% dei capannoni fino ad ora scoperti imbottiti di rifiuti sono nelle regioni del Nord Italia, ma la pressione dei carabinieri del Noe in Piemonte, Lombardia e Veneto sta spingendo le organizzazioni criminali a cercare nuovi spazi, nella regioni dell’Italia centrale. La stretta, anche a Nordest, è scattata soprattutto dallo scorso giugno.


 

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