Negozi e vetrine d’artista per via Piave

Primo atto del progetto “Riverberi”: arrivano sarte, collettivi creativi e promozioni commerciali per battere il degrado
Foto Agenzia Candussi/ Chiarin/ Mestre, via Piave/ Presentazione del progetto Riverberi organizzato dal Gruppo di lavoro di via Piave e da ETICity - nella foto il negozio-laboratorio sartoriale "Balaustio" di Micaela Leonardi e Manuelisa Reggibile
Foto Agenzia Candussi/ Chiarin/ Mestre, via Piave/ Presentazione del progetto Riverberi organizzato dal Gruppo di lavoro di via Piave e da ETICity - nella foto il negozio-laboratorio sartoriale "Balaustio" di Micaela Leonardi e Manuelisa Reggibile

MESTRE. Due anni fa si contava il 26% di negozi sfitti. Ora il dato è sceso al 20 per cento ma in un quartiere come quello di via Piave, le vetrine si alzano e abbassano definitivamente o meno, con velocità. «Anche una vetrina chiusa è degrado», spiegano da via Piave le architette di “Eticity”, associazione trapiantata da Roma a Venezia, per avviare praticamente azioni di rigenerazione urbana.

Assieme ai cittadini del gruppo di lavoro in via Piave, dopo mesi di lavoro e mediazione, ieri hanno gettato il seme del cambiamento, con la prima fase operativa del progetto “Riverberi”, quella che punta ad illuminare il vuoto dei troppi negozi chiusi e sfitti, da anni.

I primi semi sono l’apertura, al civico 5 di via Premuda del negozio-laboratorio sartoriale “Balaustio” di Micaela Leonardi e Manuelisa Reggibile. Due trentenni veneziane che dopo aver lavorato nella sartoria artistica per amici del mondo dello spettacolo, hanno scelto di aprire un negozio laboratorio nel quartiere Piave. «Qui puntiamo all’aumento di valore dello scarto tessile, dando nuova vita ad indumenti vecchi, recuperando tessuti con nuove funzioni di abbigliamento. E proponiamo nostri lavori con tessuti bio italiani e stranieri. Ancora nel negozio vogliamo avviare laboratori didattici per insegnare a cucire e dare una diversa consapevolezza all’acquisto di un capo», raccontano. Grazie alla mediazione di “Eticity”, le due sarte hanno potuto aprire il negozio con un canone d’affitto fortemente calmierato per il primo anno. In via Piave al civico 77 due vetrine sono invece diventate installazioni artistiche: ospitano due grandi e colorate opere collettive del “Tapu”, gruppi di artisti indipendenti di Treviso, autodidatti di un’arte che si nutre di marginalità, e che sono i primi ad utilizzare nei prossimi tre mesi, in comodato d’uso gratuito, le vetrine per installazioni e promozione. Anche la vetrina di fronte, quella del civico 76, che ospita la sede del gruppo di lavoro centro di tantissime iniziative, è diventata spazio di promozione, stavolta del caffè equo e solidale del Fontego, la bottega del centro di Mestre.

Foto Agenzia Candussi/ Chiarin/ Mestre, via Piave/ Presentazione del progetto Riverberi organizzato dal Gruppo di lavoro di via Piave e da ETICity
Foto Agenzia Candussi/ Chiarin/ Mestre, via Piave/ Presentazione del progetto Riverberi organizzato dal Gruppo di lavoro di via Piave e da ETICity


Tutte le vetrine tornate a vivere sono di una società trevigiana, che invece di tenere gli spazi sfitti, ha scelto una formula a costo zero o ad affitto calmierato per rivitalizzare il quartiere Piave. Nel giro di tre mesi le vetrine espositive andranno ad ospitare altre iniziative: il gruppo di “Holic” che in via Verdi ha aperto un giovane spazio commerciale, in parte negozio e in parte studio di design, video e comunicazione. E ancora il Fab Lab e le opere di una giovane ceramista che promuove le sue creazioni.

Foto Agenzia Candussi/ Chiarin/ Mestre, via Piave/ Presentazione del progetto Riverberi organizzato dal Gruppo di lavoro di via Piave e da ETICity - nella foto Silvia, Giovanna e Federica di ETICity con Fabrizio del Gruppo di lavoro di via Piave
Foto Agenzia Candussi/ Chiarin/ Mestre, via Piave/ Presentazione del progetto Riverberi organizzato dal Gruppo di lavoro di via Piave e da ETICity - nella foto Silvia, Giovanna e Federica di ETICity con Fabrizio del Gruppo di lavoro di via Piave

Giovanna, Silvia, Claudia e Federica, le professioniste del gruppo di “Eticity” assieme a Fabrizio Preo, del gruppo di lavoro, intendono tentare di coinvolgere altri proprietari di negozi sfitti della zona, per invitarli a mettere a disposizione alcune loro vetrine per il progetto. Al momento ci sono infatti tante proposte di artigiani, creativi, artisti che chiedono spazi dove operare, a prezzi ovviamente bassi, almeno nella fase di avviamento, mentre mancano società e proprietari pronti a scommettere su questa forma come arma di rilancio di un quartiere, che nonostante i tanti problemi collegati alla microcriminalità e allo spaccio di droga, sta vivendo anche una nuova espansione, tutta legata al turismo. Con l’ostello e le nuove aperture di alberghi, e con gli affitti turistici, i residenti temporanei, siano lavoratori, e soprattutto turisti, creano un forte via vai in via Piave. Una presenza che diventa anche attrattore di servizi, come lo sono appunto i negozi. L’iniziativa che parte dal basso, dialoga anche con i negozi temporanei di Calle Legrenzi, dove si sperimenta ancora la libreria provvisoria dedicata ai cent’anni di Porto Marghera, e con il Comune di Venezia che per ora sembra attendere i risultati. Anzi, il Comune in questa prima fase ha voluto un piccolo negozio per avviare una propria iniziativa, un osservatorio sulla sicurezza. Progetto tutto da costruire.

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