Motorista morto da amianto: «Risarcimento milionario»

Comune e Actv trascinati davanti al giudice del lavoro dagli eredi del dipendente Nel mirino la continua esposizione alle fibre nel cantiere navale di Sant’Elena

VENEZIA. Poco meno di un milione di euro di risarcimento per la vedova e i due figli, oltre alla liquidazione rimessa al giudice per il danno patito dal lavoratore deceduto nell’agosto 2016: Comune di Venezia e Actv trascinati davanti al tribunale del lavoro dai familiari di un ex dipendente dell’Actv, e prima ancora dell’Azienda comunale di navigazione interna lagunare (Acnil), morto a causa di un tumore ai polmoni. Una patologia, questa, che secondo la consulenza tecnica medico-legale è correlata ai molti anni trascorsi a lavorare esposto alle fibre di amianto. Il procedimento davanti al tribunale del lavoro inizierà il 4 settembre.

G.S., classe 1952, era stato assunto nel 1972 dalla Acnil, società che nel 1978 era confluita nell’odierna Actv, andando in pensione nel dicembre 2006, dopo 34 anni e mezzo di lavoro. Aveva ricoperto le mansioni di bigliettaio, quindi di motorista (per la maggior parte della carriera, dal 1974 al 1993) e infine di capo tecnico del settore manutenzione cantiere. Scrive nel ricorso l’avvocato Giorgio Caldera, a cui si è rivolta la famiglia, che «L’attività lavorativa svolta presso il cantiere navale di Sant’Elena aveva comportato, sia nei reparti di lavoro a terra che a bordo delle unità navali, una continua massiccia esposizione alle fibree di amianto in quanto largamente impiegato sia come coibentante termico nell’impiantistica delle navi che come componente delle strutture (cartoni e teli) usate come pannelli isolanti durante le lavorazioni». Nel 2015, le prime avvisaglie della malattia. L’ex motorista accusava dolori lombari che non passavano con le medicine. Gli accertamenti successivi avevano portato a diagnosticare nell’aprile 2016 una situazione polmonare gravemente compromessa: G.S. era affetto da un carcinoma squamoso del polmone destro con lesioni secondarie ossee diffuse e surrenali. Era così iniziato il calvario dei cicli di chemioterapia all’ospedale Civile. Pochi mesi dopo la diagnosi, il 1° agosto 2016 l’ex operaio era morto.

Secondo il legale, G.S., nel corso dell’attività lavorativa, è stato esposto all’amianto senza che i datori di lavoro adottassero precauzioni e fornissero dispositivi di protezione per evitare che le fibre venissero inalate, senza che fossero date istruzioni sulla pericolosità della sostanza e senza sistemi di protezione. La vedova e i figli hanno presentato richiesta di risarcimento all’Actv e al Comune di Venezia, ma non è stato raggiunto un accordo stragiudiziale. Per questo i familiari hanno presentato il ricorso al tribunale del lavoro: sarà il giudice a dover decidere se sussista o meno la responsabilità dei due datori di lavoro, ciascuno per la propria quota di anni, nella morte dell’ex motorista. Viene chiesto al giudice il risarcimento del danno biologico sofferto tra la data della diagnosi della patologia e la data del decesso, oltre che il danno catastrofale, ovvero quello legato alla percezione dell’uomo dell’incurabilità della malattia e della morte prossima. I familiari chiedono inoltre il risarcimento del danno da perdita nella misura massima prevista dalle tabelle del tribunale di Milano, pari a 995.760,00 euro.

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