MOSTRA DEL CINEMA 2013 Il direttore Alberto Barbera: «Venite con la voglia di stupirvi»
VENEZIA. Giunto al secondo anno di mandato, il direttore Alberto Barbera inizia a guardare in faccia alle sfide lanciate in questi mesi con soddisfazione. Indipendentemente da come andrà questa 70a Mostra, il senso che si raccoglie nelle stanze del palazzo del Cinema è di essere sulla strada giusta, a cominciare dalla scommessa di Biennale College. Quanto allo sguardo sulla selezione, sarà al vaglio di critica e pubblico, come si dice, con le necessarie “istruzioni per l’uso”.
Dopo 1534 lungometraggi e quasi duemila corti passati in rassegna quali sono le costanti che emergono dal cinema internazionale?
«C’è sempre una grande vastità di temi, ma l’argomento più ricorrente riguarda l’adolescenza. A qualsiasi latitudine c’è una forte attenzione per il mondo dei bambini, un mondo dove spesso sono scomparsi i genitori, non vi sono punti di riferimento alternativi: abbandonati o esposti alla violenza familiare, gli adolescenti dello schermo sono più che mai privati di qualsiasi mediazione con la società. Che è poi stravolta dalla crisi e dall’assenza di lavoro che ben conosciamo, ma che per loro ha una criticità ulteriore, dal Sud America all’Estremo Oriente, dagli Stati Uniti all’Europa».
A scorrere le sinossi dei film in cartellone sembra che siano scomparsi i film di genere: thriller, noir, melò, avventura sono ormai temi amalgamati assieme.
«È così: in generale c’è molto realismo, non più il cinema politico vecchia maniera, in disuso anche in Italia, ma un’attenzione spasmodica verso il presente in cui prevale l’assenza di prospettive e di speranze».
In questo quadro par di capire che sia privilegiata la narrazione rispetto al dato estetico, tecnico.
«Come accade in Italia, assistiamo a esordienti già molto abili nella padronanza del mezzo, dotati di una tecnica elevata. Tutti sanno fare cinema: più problematico è costruire storie plausibili».
Il concorso di quest’anno, sulla carta, pare avere meno nomi eclatanti, anche se poi in realtà l’anno scorso i grandi nomi in parte delusero.
«In verità c’è una qualità più alta a Venezia 70. Forse meno punte altissime, ma un livello medio più omogeneo. Per questo siamo soddisfatti».
Avete preso più rischi?
«Senz’altro: intanto abbiamo inserito due documentari in concorso per la prima volta (“Sacro GRA” di Francesco Rosi e “The Unknown known” di Errol Morris, ndr), poi abbiamo scelto molti esordienti, anche se non assoluti, come Emma Dante, che proviene da un teatro certo non convenzionale. Inviterei poi a venire alla Mostra con la voglia di farsi coinvolgere, di stupirsi e di farsi stupire. Di porsi di fronte ai film con l’idea di cogliere le novità: cito solo un caso, un’autentica sfida, quella del tedesco Philip Gröning, che nella “Moglie del poliziotto” va oltre la narrazione tradizionale, destrutturando la storia in 57 capitoli di 2’-3’ l’uno, non consequenziali, che poi lo spettatore nella sua visione deve ricostruire. Chi si alza e se ne va… ha perso. Oppure Tsai Ming-Liang, il cui film (“Stray Dogs”) è un unico piano sequenza – e non è una novità – ma che coinvolge anche dei salti temporali, dei momenti diversi».
Una bella sfida, molto cinefila, già mi immagino il pubblico della Sala grande… Infine due altre scommesse, una senz’altro vinta, Biennale College, l’altra che sembra ancora in fieri, il Mercato.
«Affatto: gli industry sono in crescita, tanto che lo abbiano prolungato di un giorno. Certo questo non è il Marché, un mercato generalista che offre di tutto. Qui si incontrano produttori e distributori che cercano qualcosa di specifico, spesso discutendo di progetti. È un’idea più moderna del mercato, legato agli operatori, non basato su un catalogo film che si cerca disperatamente di vendere. Quanto a Biennale College la scommessa è stata vinta due volte, perché abbiamo i film e perché in qualche caso sono anche molto belli. Stiamo vagliando i progetti per il 2014: i 12 film della prossima edizione saranno annunciati ad ottobre e avranno quindi 3-4 mesi in più di tempo».
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