Mose e innalzamento dei mari. D’Alpaos: «Andrà sollevato ogni giorno»
VENEZIA. Tra qualche decennio, alla fine del secolo, il livello del mare aumenterà di un metro. E il Mose dovrà essere azionato ogni giorno. Lo scenario tracciato dall’Ipcc sul riscaldamento globale trova conferme anche a livello locale. Nell’ipotesi più ottimistica in Adriatico l’aumento del livello marino sarà intorno ai 50 centimetri, in quella più probabile di almeno 70-80, in quella più “pessimistica” fino a un metro.
«Significa che il Mose si dovrà chiudere, con l’ipotesi minima dei 50 centimetri 350 volte l’anno, per almeno 2 mila ore» dice il professor Luigi D’Alpaos, ingegnere idraulico ed esperto di idrodinamica lagunare, autore di un modello previsionale sui nuovi scenari, «un problema grande. Perché così la portualità in laguna non potrà più esistere. E ci saranno pesanti conseguenze sull’ambiente per le prolungate chiusure. E’ chiaro che al di là dei ritardi e dei suoi problemi tecnici irisolti, il Mose da solo non ce la farà a proteggere Venezia».
Eppure per finanziare la grande opera, progettata nel 1984, avviata nel 2003 e destinata a essere conclusa nelle sue ultime parti nel 2025, sono stati tagliati tutti gli altri interventi di difesa dalle acque alte, a cominciare dalle insulae e dalla difesa locale di piazza San Marco. «Quando lo abbiamo progettato non lo sapevamo» ha detto candidamente Attilio Adami, consulente del Consorzio Venezia Nuova e del Magistrato alle Acque, nel corso di un convegno organizzato dall’Ordine degli ingegneri all’Ateneo Veneto.
Possibile? «Ma no…» allarga le braccia D’Alpaos, «non è vero! Al di là della letteratura scientifica, quando venne presentato il progetto per essere finanziato e approvato, nel novembre del 2006, queste cose erano già chiare. L’Ipcc aveva segnalato il pericolo già negli anni ’90. Mentre il Consorzio con i suoi consulenti e il Corila insistevano sull’aumento di 22 centimetri. Assurdo. Anche il Cnr francese con il professor Paolo Pirazzoli aveva bene identificato il problema. Ma andarono avanti lo stesso».
Tra 22 centimetri e un metro c’è una bella differenza. Ed è vero che in fase di progettazione il Mose non ha tenuto conto delle ipotesi più realistiche di aumento del livello del mare. «In quegli anni di monopolio assoluto» ricorda Stefano Boato, docente Iuav, ambientalista ed esperto di laguna, «le istituzioni scientifiche rassicuravano. Mazzacurati aveva presentato alla Valutazione di Impatto ambientale un rapporto che parlava di 16-20 centimetri di rialzo del mare».
«Negli stessi anni il professor Pirazzoli, del Cnr francese, parlava di 50. E indicava come prima soluzione la riduzione delle profondità dei fondali alle bocche di porto. Studi scientifici indipendenti sono stati ignorati. Come quello del responsabile del centro Maree Paolo Canestrelli, che nel 1999 denunciava i pericoli di aumento delle acque alte con i grandi scavi alle bocche di porto».
In consiglio comunale il dibattito si era fatto rovente. Ma alla fine era stato il governo Prodi a dare il via libera da Roma. Le alternative erano state scartate senza nemmeno vederle, gli allarmi sull’affidabilità del Mose nello scenario futuro completamente ignorati. «Eppure», continua Boato, «non solo la Legge Speciale e il Piano morfologico, ma anche la Legge 139 del 1992 parlavano di eustatismo e di riequilibrio della laguna. Con il Mose sono andati avanti, ma il riequilibrio non è mai arrivato. Anzi, oggi si continua in direzione opposta, scavando canali e progettando nuovi porti dentro la laguna».
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