Mose, Consorzio affidato alle imprese Dubbi di illegittimità sulla richiesta

Via i commissari, ritorno al vecchio Cda “pre scandalo”. Un disegno preciso, quello delle grandi imprese che componevano il Consorzio Venezia Nuova. Reso esplicito dalla lettera inviata dal Covela scarl (gruppo Mantovani) nei giorni scorsi proprio al vecchio Cda, presieduto da Mauro Fabris e firmata dal patron dell’azienda di costruzioni Romeo Chiarotto. La tesi è che gli amministratori straordinari avrebbero esercitato poteri che non spettavano loro. E che adesso è il momento di tornare alla vecchia governance. Iniziativa che fa discutere. Anche dal punto di vista legale. È possibile tornare di colpo alla situazione di cinque anni fa chiedendo il ripristino del vecchio Cda che rappresentava le grandi imprese?
C’è un precedente. Nell’estate del 2015, analoga iniziativa era stata assunta dal Consorzio Italvenezia, azionista di Venezia Nuova, che denunciava l’ “illegittimità” degli atti firmati dai commissari. Per questo si era rivolto a una commissione di arbitrato. Ma era arrivato lo stop del prefetto di Roma Franco Gabrielli. L’attuale capo della Polizia era allora l’autorità da cui dipendeva insieme all’Anac la nomina dei commissari. «L’articolo 32 comma 3 del decreto del legge 24 giugno 2014, quello che ha portato all’amministrazione straordinaria del Consorzio», scriveva allora Gabrielli, «prevede che siano attribuiti agli amministratori straordinari tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione dell’impresa». Per questo l’attuale capo della Polizia invitava le imprese a «desistere dalla domanda di arbitrato». Richiesta accolta. Ma adesso l’offensiva riparte. E stavolta riguarda l’ex azionista di maggioranza del Consorzio, l’impresa Mantovani di Chiarotto, presieduta da Piergiorgio Baita e oggi dall’ex capo della Mobile di Padova e questore di Treviso, Carmine Damiano. Si ritiene “chiusa” la fase dell’emergenza. E si vogliono ripristinare i vecchi meccanismi. Possibile?
«Io credo di sì», azzarda l’avvocato Ruggero Sonino. Lo scorso anno era stato lui a presentare la domanda di risarcimento danni al Tribunale civile contro i commissari. 197 milioni di euro per aver provocato «ritardi all’opera e danni alle imprese». «Mi accusano di avere fatto gli interessi dello Stato e non dei privati», aveva risposto il commissario Fiengo.
Adesso i legali provano a dare l’affondo. «Richiesta legittima, da chi è stato penalizzato negli ultimi anni», spiega Sonino, «le imprese si erano indebitate con le banche perché i soldi non arrivavano. Poi è arrivato lo scandalo, e i commissari non le hanno più fatte lavorare. Ma non era il loro compito».
Secondo il legale di Covela i commissari avrebbero dovuto soltanto portare a termine l’opera oggetto della convenzione. E non occuparsi delle imprese. In realtà molte sono state coinvolte pesantemente nell’inchiesta sulle tangenti del Mose, insieme ai politici e ai dirigenti e funzionari dello Stato. «Ma gli episodi non possono portare a questa situazione», insiste l’avvocato, «adesso bisogna girare pagina. La Corte dei Conti deve occuparsi anche di quello che è successo in questi ultimi anni. Ma coinvolgere il Cda e le imprese è giusto: chi è in grado oggi di portare avanti l’opera?».
Dai commissari nessun commento. «Finché dura l’amministrazione straordinaria», si limita a dire Fiengo, «non credo che sia possibile e legittimo convocare un Cda che era stato sospeso».—
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