Mose, Chiarotto vuol riunire il vecchio Cda e scrive all’ex presidente Mauro Fabris

Alberto Vitucci
La guerra del Mose non è finita. Mentre il ministero e la commissaria Spitz, in accordo con una parte del Pd veneziano, sono in rotta di collisione con gli amministratori Anac, un altro fronte si apre all’interno del Consorzio venezia Nuova. Romeo Chiarotto, patron della Mantovani, ex azionista di maggioranza del Consorzio, ha scritto una lettera dai toni molto duri all’ultimo presidente eletto del Cvn, l’ex deputato e attuale numero due di Autostrade Mauro Fabris. E’ la quarta in poco più di un mese. E la richiesta è sempre quella: si convochi il Consiglio esautorato nel 2014, all’indomani degli arresti per corruzione. Per procedere all’elezione del nuovo presidente e del nuovo Consiglio e continuare l’attività. Fabris - peraltro mai coinvolto nelle storie dimalaffare del Consorzio di Mazzacurati - ha ripetuto la risposta negativa delle prime tre volte: «Non è possibile, l’attività di gestione del Consorzio è stata sospesa da un’ordinanza del prefetto di Roma e dell’Anac di Cantone. Sarebbe illegittimo».
Chiaro l’obiettivo dell’anziano industriale padovano. Tornare ai comandi della corazzata che è stata in parte affondata dalla magistratura e dalle inchieste. E adesso riportata in superficie, in vista della conclusione dei lavori del Mose e del business della sua manutenzione, almeno 100 milioni di euro l’anno.
Un’offensiva che negli ultimi mesi si è fatta molto forte. Gli avvocati del Covela – il Consorzio veneto di cui Mantovani e Chiarotto sono azionisti di maggioranza – ha presentato in Tribunale una richiesta di risarcimento danni di 192 milioni di euro contro i due commissari Anac, l’Avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo e l’ingegnere torinese Francesco Ossola. L’accusa? Quella di aver ritardato i lavori del Mose e non aver dato commesse alle imprese consorziate, che ne avevano diritto a norma di statuto. Qualche tempo dopo la nomina della commissaria “sblocca cantieri” Elisabetta Spitz.
E poi l’attacco del Provveditore Cinzia Zincone - nominata in dicembre dalla ministra del Pd, Paola De Micheli - contro i due amministratori. Accusati senza mezzi termini di aver ritardato i lavori e aver lasciato la città indifesa. «Abbiamo trovato una situazione di illegalità diffusa, e lavori malfatti», si sono difesi i due. Nei giorni scorsi, infine, la proposta ultimativa di modificare la convenzione del 1991. Con una sanatoria concessa alle grandi imprese, vista la difficoltà di recuperare i crediti e i risarcimenti per i lavori fatti male.
Adesso la nuova richiesta delle vecchie imprese di tornare in sella. Accompagnata dall’invito al Consorzio a costituirsi in giudizio nel processo di appello per il risarcimento dei danni, dopo l’inchiesta della magistratura sulle tangenti e la corruzione. Ci sono in piedi cause milionarie da una parte e dall’altra. Quest’ultima riguarda 70 milioni per «danno di immagine». E il problema adesso è chi pagherà. Le vecchie imprese o il vecchio Consorzio? Il nuovo Consorzio dei commissari o lo Stato, tirando un colpo di spugna sul passato? Una partita che vale centinaia di milioni. —
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