Mose, cantieri ancora fermi: esposto alla Corte dei Conti
Pronta una denuncia per presunto danno erariale e inadempienza contrattuale. Fa discutere la nuova consulenza sulla corrosione: «Se non c’è lo si dimostri»
VENEZIA. I cantieri del Mose alle bocche di porto sono ancora fermi. Qualcuno sta lentamente ripartendo, ma i lavori non sono a pieno regime. Lo dimostrano le foto scattate ieri mattina all’isola artificiale del bacan, a San Nicolò.
Pochi operai al lavoro, una macchina che ancora non è in moto dopo un anno e mezzo di blocco. Ancora all’anno zero poi sono tutti gli interventi ambientali del Piano Europa, del restauro dell’Arsenale, dei progetti complementari per ridurre l’impatto ambientale del Mose sulla laguna.
Un quadro non ancora a posto. Che ha convinto un ex dirigente del Magistrato alle Acque a mettere nero su bianco una denuncia per danno erariale alla Corte dei Conti. «Non dico nulla finché la memoria non sarà depositata», dice l’ex dirigente, che chiede per ora di mantenere l’anonimato. Ma il documento è pronto. Nel mirino ci sono i ritardi accumulati e le maggiori spese a carico dello Stato. Ma anche la «mancata considerazione dell’inadempienza degli obblighi contrattuali da parte del Consorzio Venezia Nuova». Una storia intricata, passata per corruzione e scandali. Poi affidata agli amministratori straordinari nominati dall’Anac. Infine, i nuovi commissari straordinari dotati di pieni poteri. Elisabetta Spitz e Massimo Miani.
Ora il nuovo esposto intende fare luce sugli ultimi anni di governo della salvaguardia. Sui ritardi e i costi, il blocco dei cantieri. «Le opere realizzate in tempo avrebbero permesso di evitare gravi danni, la manutenzione se avviata quando si sono scoperti i primi fenomeni di corrosione sarebbe costata meno e avrebbe reso più efficiente il sistema».
Invece, sostiene il denunciante, si è preferito proseguire il rapporto di concessione unica con il Consorzio Venezia Nuova. Una scelta non conveniente per lo Stato, cristallizzata nell’accordo transattivo. In questo modo si sono in sostanza “condonati” i debiti, ma lo Stato ha rinunciato a far valere i suoi diritti per i ritardi e gli errori commessi nella costruzione della grande opera.
Si è prolungata la vita del concessionario unico, con costi notevoli a carico dello Stato. Riguardo alla corrosione, l’esposto ricorda come il fenomeno «abbia subito un incremento, a prescindere dalle cause, proprio a causa dei ritardi nella realizzazione degli impianti di aerazione e condizionamento». E nella «mancata manutenzione, segnalata già nel 2018, che ha provocato una riduzione della vita residua di alcune parti del Mose». La commissaria Spitz ha risposto in queste ore che la corrosione non è in una situazione preoccupante. Dopo gli allarmi lanciati dagli esperti, il consulente francese Nicholas Larcher, contattato dalla commissaria nel settembre scorso, è stato richiamato. E ha prodotto un supplemento di relazione. «Ma ci devono dire se sono stati ispezionati gli steli tensionatori, dove era stata rilevata la corrosione», dice Susanna Ramundo, esperta che aveva lanciato l’allarme sullo stato delle cerniere del Mose insieme al professor Gian Mario Paolucci, «e soprattutto se è stato fatto lo studio sullo stato di vita residua dell’opera, con l’esame approfondito dei meccanismi sott’acqua. Le 156 cerniere, due per paratoia, con gli elementi maschi e femmina e gli steli tensionatori dove la corrosione era stata scoperta e documentata. Il Mose doveva costare un miliardo e mezzo di euro, essere finito a metà degli anni Novanta. Oggi siamo arrivati a 6 miliardi e mezzo di euro – ma i prezzi adesso aumenteranno per le parti mancanti – e la dead line del 2021 è stata sforata, nonostante la nomina dei commissari. Adesso il nuovo traguardo è annunciato per il 31 dicembre 2023. Ma i ritardi si accumulano. E i cantieri non hanno ancora ripreso la loro attività. Tutte questioni su cui ora la Corte dei Conti dovrà fare chiarezza, dopo le segnalazioni.
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