Mose atto secondo, la scure dell’Appello. Ricorso post mortem per il caso Matteoli

Il 14 maggio in aula quasi tutti gli imputati del processo di primo grado, a eccezione di Sartori e Turato perché assolti

VENEZIA. Mose, atto secondo. Si torna a parlare in un’aula di Tribunale della grande opera contro l’acqua alta che attorno a sé ha generato un sistema corruttivo mai visto prima in Veneto e in Italia.

Un anno e otto mesi dopo il 14 settembre 2017, quando il giudice Stefano Manduzio lesse la sentenza al termine del giudizio di primo grado, martedì prossimo, 14 maggio, si aprirà il processo d’appello davanti alla seconda sezione della Corte d’Appello di Venezia.

Ci saranno quasi tutti gli imputati del primo grado, a eccezione dell’allora eurodeputata Amalia Sartori e dell’architetto di Giancarlo Galan, Danilo Turato, entrambi assolti: per le loro posizioni, la Procura Generale non ha presentato appello.

Il caso matteoli

Tra gli appellanti figura anche l’ex ministro alle Infrastrutture Altero Matteoli. Non fisicamente, visto che è morto il 18 dicembre 2017 in un incidente d’auto sulla Aurelia a Capalbio, in Toscana. Il fatto è avvenuto dopo essere stato condannato a 4 anni per corruzione, ma prima che, a febbraio 2018, i giudici del collegio depositassero le oltre 800 pagine di motivazioni della sentenza.

L'ex ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli in occasione del convegno organizzato in vista delle primarie del centro destra, Roma, 1 marzo 2017. ANSA/MASSIMO PERCOSSI
L'ex ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli in occasione del convegno organizzato in vista delle primarie del centro destra, Roma, 1 marzo 2017. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Un caso più unico che raro in giurisprudenza, un ricorso “post mortem” presentato dai difensori dell’ex ministro di An con l’obiettivo di salvare il buon nome del politico, anche se scomparso.

Posizione, questa, su cui i legali delle parti civili preannunciano battaglia: chiederanno l’inammissibilità per la cessazione della materia del contendere, poi spetterà ai giudici della Corte d’Appello sciogliere il nodo.

L’ex sindaco orsoni

Ha presentato appello anche l’ex sindaco Giorgio Orsoni, assolto in primo grado per i finanziamenti in bianco (per i giudici non c’era la prova che il primo cittadino sapesse che erano frutto di illeciti fiscali) e prescritto per quelli in nero. In quest’ultimo caso, infatti, il tribunale aveva ritenuto provata la consegna di 200 mila euro da parte di Giovanni Mazzacurati attraverso il segretario Federico Sutto (la testimonianza di quest’ultimo era stata considerata attendibile), ma non è stato possibile datare con certezza l’ultima dazione.

Di qui una consumazione generica a marzo 2010, con prescrizione dunque a settembre 2017, prima della sentenza. Orsoni ha rinunciato alla difesa nel merito, presentando un cosiddetto “ricorso per saltum” direttamente in Cassazione sulla base di una sentenza, sempre della Suprema Corte, pronunciata sul ricorso del vecchio primo cittadino di Lucca Mauro Favilla, che ha sancito come il sindaco non possa essere accusato di finanziamento illecito. Per Orsoni, la Cassazione ha rimandato le carte in appello.

La posizione di Piva

C’è poi Maria Giovanna Piva, assolta in primo grado per il collaudo assegnatole per l’ospedale dell’Angelo e prescritta per le tangenti percepite da Mazzacurati nel corso del suo mandato.

Interpress/Mazzega Venezia, 16.06.2016.- Tribunale di Venezia, Processo "MOSE".- Nella foto Maria Giovanna Piva
Interpress/Mazzega Venezia, 16.06.2016.- Tribunale di Venezia, Processo "MOSE".- Nella foto Maria Giovanna Piva

L’ex Magistrato alle Acque punta a ottenere l’assoluzione nel merito anche sul capo prescritto. I giudici del tribunale lagunare avevano infatti ritenuto che Piva fosse stata a libro paga del deus ex machina del Consorzio Venezia Nuova fino al 2008.

Nelle motivazioni avevano parlato di «indebita ricezione da parte della Piva di somme, quantificabili in 200 mila euro annui, provenienti dal Cvn». Soldi, questi, in virtù dei quali l’allora Magistrato alle Acque «ometteva di effettuare la vigilanza sul Cvn». Troppo tempo, però, quello trascorso dai fatti, con il risultato che l’accusa era stata spazzata via. Piva punta al riconoscimento della sua innocenza nel merito delle accuse, al di là della prescrizione.

Gli altri

Assieme a questi casi particolari, hanno presentato appello anche tre dei condannati. Si tratta dell’imprenditore romano Erasmo Cinque (4 anni e la quota parte di un maxi sequestro da 19 milioni 150 mila euro, in concorso con altri, per i marginamenti di Porto Marghera), dell’imprenditore del Lido Nicola Falconi (2 anni e 2 mesi) e dell’avvocato capitolino Corrado Crialese (1 anno e 10 mesi, pena sospesa).

Le parti civili

Tutte le parti civili costituite nel processo di primo grado ci saranno anche in appello, pronte a dare battaglia perché l’impianto del processo celebrato davanti al tribunale collegiale sia confermato: la Presidenza del Consiglio, il Ministero dei Trasporti, la Regione, la Città Metropolitana, il Comune di Venezia e il Cvn. A sostenere l’accusa, il sostituto procuratore generale Alessandro Severi. —


 

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