Mose, allo studio chiusure parziali per aiutare il passaggio delle navi
Mose sì, ma solo in parte, con almeno una bocca di porto che in caso di acque alte «normali» - intorno ai 110 centimetri sul medio mare, quota alla quale il sistema di dighe mobili dovrebbe iniziare a chiudersi - resterà invece aperta. Preferibilmente quella di Malamocco, per non penalizzare il traffico portuale che proprio da là deve passare.
È una grossa novità quella annunciata ieri - con le cautele del caso, perché l’apertura limitata sarebbe ancora in fase di sperimentazione - dall’ingegner Fabio Riva, dirigente del Provveditorato alle Opere Pubbliche (l’ex Magistrato alle Acque) e dal professor Enrico Foti dell’Università di Catania che è anche consulente del Consorzio Venezia Nuova. L’occasione è stato il nuovo convegno dedicato alla memoria dell’Aquagranda del 1966 che si è tenuto ieri alle Sale Apollinee e che ha esaminato con la presenza di esperti e docenti universitari soprattutto gli aspetti tecnici e idraulici cinquant’anni dopo, sotto il tema: «Il contributo della scienza per la città di Venezia e del suo territorio».
All’interno di esso l’ingegner Riva ha dato conto dello stato di avanzamento del Mose alle sue quattro bocche di porto: perché accanto a quelle di Chioggia e Malamocco, quella di Lido è stata divisa in due dall’isola artificiale costruita a metà, tra San Nicolò e Treporti.
Confermando che il giugno 2018 è la nuova data fissata per il completamento del sistema e circa tre anni dopo l’affidamento della sua gestione - dopo le sperimentazioni - alla società o all’ente che lo prenderà in carico. A Chioggia la posa delle paratoie dovrebbe essere completata nel febbraio 2017, mentre a Lido: Treporti è già conclusa e a Lido-San Nicolò lo sarà nel marzo 2018.
Secondo il dirigente del Provveditorato le paratoie nelle tre sperimentazioni fatte a Treporti si sono sollevate correttamente e il malfunzionamento di elementi per i sedimenti sabbiosi è solo un problema di manutenzione. Ma, come detto, la novità più interessante è l’intenzione - poi confermata anche dal professor Foti - di avere un modello di gestione del Mose che preveda appunto la sua chiusura parziale in caso di maree ordinarie.
Un modo anche per risparmiare sui costi di manutenzione del sistema - che si annunciano ingenti - e anche, è stato detto, di assicurare un migliore ricambio dell’acqua della laguna. La maggiore «indiziata» di mancata chiusura è appunto quella di Malamocco, proprio perché in questo modo non metterebbe in crisi il funzionamento del porto di Venezia, visto che la conca di navigazione realizzata non è considerata pienamente soddisfacente.
«Abbiamo calcolato che il 60 per cento circa delle acque alte che provocherebbero la chiusura del Mose - ha spiegato il professor Foti - riguarderebbero livelli di poco superiori al metro e 10 centimetri, mentre il 30 per cento è tra il metro e 20 e il metro e 30. Abbiamo calcolato che la velocità dell’acqua di marea con la bocca aperta di 0,30 metri al secondo, una misura per noi sufficiente a garantire comunque la protezione della città a quota 110 centimetri. Per questo stiamo sperimentando queste nuove possibilità di utilizzo parziale del sistema Mose, che ridurrebbero così il numero delle chiusure e anche i costi di gestione relativi». Un costo che fino ad oggi nessuno ha saputo stimare con precisione, ma che preoccupa.
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