«Moschee, sermoni in italiano. Le prediche in arabo non sono utili»
MESTRE. I sermoni in arabo? «Non sono funzionali né utili, da più di vent’anni la stragrande maggioranza delle comunità predica in italiano».
A spegnere la polemica che ha contrapposto in questi giorni le comunità islamiche alle istituzioni, è l’imam Kamel Layachi, responsabile del dipartimento del dialogo interreligioso e del consiglio delle relazioni islamiche italiane (Crii), presente venerdì scorso a Marghera, nella moschea della Misericordia. Qualche giorno fa lo stesso governatore Zaia ha lanciato un appello a predicare solo in italiano in nome della trasparenza.
«Da parecchio», spiega Layachi, «c’è la consapevolezza che il sermone in arabo non è più funzionale, perché la comunità islamica non è di arabofoni, ma di persone che arrivano da vari Paesi, etnie, culture. E ci sono le nuove generazioni, gli italiani convertiti (a Marghera ce ne sono diversi esempi, ndr), gente che non sa l’arabo, pertanto un sermone in lingua araba non sarebbe inclusivo, proprio perché c’è l’urgenza di contestualizzare i sermoni alla nostra lingua italiana. L’imam sa che non parla ai musulmani di Islamabad o del Cairo, ma ai musulmani che vivono qui, che sono in relazione con il loro nuovo contesto. Serve un linguaggio appropriato per parlare dei problemi delle comunità islamiche italiane, mi devo mettere nei panni di chi vive la quotidianità: il tema della famiglia, dei valori, del dialogo interreligioso, più che mai attuali che devono essere centrali nell’opera dell’imam italiano».
Precisa: «L’imam non deve farsi cassa di risonanza dei problemi dell’estero, bensì concentrarsi sui nostri problemi e far si che il sermone divenga un ponte con la nostra società, questa consapevolezza è andata crescendo dopo l’11 settembre, per questo nella stragrande maggioranza dei centri islamici è prassi. Inoltre l’imam non può parlare trenta lingue diverse, non può sapere l’africano, il pakistano e il cinese, perché ho incontrato persino cinesi musulmani, pochi ma ci sono. Ci sono giovani e meno giovani musulmani che non hanno avuto possibilità di imparare l’arabo, perciò il collante che unisce la comunità a livello linguistico è l’italiano».
L’appello del governatore? «Zaia e qualsiasi sindaco è benvenuto nei nostri centri, offriremo loro un tè alla menta e realizzeranno da soli che l’italiano è prassi».
Venezia bersaglio sensibile? «Se oggi l’Italia è immune da atti di violenza come quelli di Madrid o Londra, è per merito di questi imam che lavorano in silenzio e servono la patria. La comunità islamica di Venezia, del Veneto e italiana è una comunità responsabile, leale e per bene. Se ci sono persone che hanno avuto atteggiamenti estremisti o hanno destato preoccupazione, queste persone non hanno imparato dalle nostre moschee, messaggi di odio ed estremismo provengono spesso dai social network e youtube: metto sempre in guardia dall’indottrinamento online, cosa che preoccupa molto gli imam».
Chiarisce Layachi: «Noi vogliamo collaborare con tutte le istituzioni sul tema della sicurezza per prevenire, far sì che i giovani e i musulmani in generale vadano a fare la loro formazione con persone preparate che conoscono il contesto italiano. Questo è il lavoro da fare nei prossimi anni e questa è una delle sfide che ci vede impegnati, non ci si può affidare a Google, Facebook, Twitter».
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