Morto per amianto e fumo risarcimento dimezzato

Ai parenti di un ex facchino del Porto, tabagista, 53mila euro anzichè 106 mila Stroncato da un tumore ai polmoni: riconosciuta la concausa nel decesso
MARGHERA. Facchino per 28 anni al Porto, a diretto contatto con l’amianto senza alcuna protezione. Ma anche incallito tabagista, capace di fumare fino a 40 sigarette al giorno. A stroncare l’ex operaio, nel dicembre 2009, fu un carcinoma polmonare. I familiari dell’uomo, morto a 75 anni, hanno presentato istanza al tribunale del lavoro per ottenere il risarcimento danni all’Autorità portuale di Venezia, sostenendo l’esposizione del loro caro alle fibre di amianto e quindi l’insorgenza della malattia professionale. Ma la giudice del lavoro Paola Ferretti, forte dei risultati delle consulenze tecniche, ha stabilito sì di risarcire i familiari, ma solo per metà. «Va accertato che il tabagismo è stato fattore concorrente con l’esposizione all’amianto nelle cause della malattia», scrive la giudice nella sentenza che è stata pronunciata nei giorni scorsi, con contestuale rilascio della formula esecutiva, «La misura del concorso non può che essere determinata nel 50% per ognuno dei due fattori nell’impossibilità di determinare una diversa incidenza di ciascuno».


L’uomo era stato impiegato dal 1957 al 1985 come lavoratore portuale polivalente in forze alla Compagnia Lavoratori Portuali di Venezia. Si occupava in particolare di facchinaggio a terra e a bordo delle navi per il carico e scarico delle merci dalla banchina o dal magazzino ai carri ferroviari. Molteplici erano state le occasioni in cui il lavoratore si era trovato a dover maneggiare amianto, contenuto in sacchi di iuta che facilmente si rompevano.


Nel corso del giudizio sono state acquisite deposizioni - in linea con quelle raccolte in altri procedimenti davanti al tribunale del lavoro su tematiche analoghe - a conferma dell’insalubrità dell’ambiente di lavoro e la mancata adozione di qualsiasi tipo di cautela per la riduzione del rischio di contrarre malattie legate all’amianto, nonostante fosse ben nota la pericolosità di questa sostanza. Il consulente tecnico d’ufficio aveva concluso affermando che l’uomo «fu “certamente” esposto professionalmente all’amianto e che pertanto tale rischio deve essere considerato “concorrente” nell’insorgenza della patologia polmonare in concorso con l’esposizione ad abuso tabagico».


Proprio in virtù del principio di concausa nell’insorgenza della malattia mortale, il danno biologico complessivo - calcolato in 106.200 euro per un periodo di quasi un anno dalla scoperta della malattia al decesso - deve essere diviso in due. Ed è così che la giudice del lavoro Paola Ferretti ha disposto che l’Autorità portuale versi ai familiari dell’ex dipendente la somma di 53.100 euro.


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