Morto di amianto, condannata l'Autorità portuale: 670 mila euro alla famiglia

Giancarlo Vianello ucciso da un mesotelioma, sentenza contro l’Autorità portuale. Risarciti la moglie e i quattro figli, ma l’avvocato medita ricorso contro i conteggi
Interpress/Mazzega Mion Venezia, 13.05.2013.- Allarme bomba Tribunale di Rialto.- Nella foto Presidiato dalle forze dell'Ordine dopo l'evaquazione
Interpress/Mazzega Mion Venezia, 13.05.2013.- Allarme bomba Tribunale di Rialto.- Nella foto Presidiato dalle forze dell'Ordine dopo l'evaquazione

VENEZIA. Un altro lavoratore morto per mesotelioma, il cancro provocato dall’inalazione di amianto, un altro risarcimento per vedova e figli: 150 mila euro alla moglie e 130 mila euro ad ognuno dei 4 figli. A pagare sarà l’Autorità portuale - compresi 10 mila euro di spese legali e di perizia - dichiarata dal Tribunale di Venezia «responsabile per il decesso di Giancarlo Vianello».

«Questa sentenza fa seguito a una condanna di risarcimento per 130 mila euro per i danni patiti da Vianello quand’era ancora in vita, ma mi riservo di appellare», protesta l’avvocato Enrico Cornelio, «perché il nostro Tribunale si ostina a liquidare i danni ai familiari secondo tabelle proprie anziché adottare quelle del Tribunale di Milano, mediamente del 50 per cento superiori».

La storia è quella di tanti lavoratori del porto di Venezia negli anni Sessanta e Settanta: Vianello aveva operato allo scalo veneziano tra il 1960 e il 1988, dipendente della Compagnia lavoratori portuali.

«Le testimonianze hanno unanimemente acclarato che almeno fino al 1979, l’amianto arrivava al porto di Venezia a bordo delle navi, in sacchi di juta che spesso all’atto della “virata” si rompevano», si legge in sentenza, «il ricorrente ha svolto mansioni di lavoratore portuale, venendo in contatto e inalando le fibre di amianto». I sacchi venivano imbragati, ma quando la gru li alzava, il peso metteva in tiro le cime che talvolta li rompevano, tanto che le cancerogene fibre di amianto si spargevano nell’aria e venivano respirate. Negli anni Ottanta, l’amianto ha iniziato arrivare nei container: ma i sacchi scaricati una volta aperti i box presentavano spesso delle perdite. «Il pasto si faceva in mensa, ma le merende venivano consumate dove ci trovavamo nella stiva o nel magazzino e se c’erano sacchi di amianto ci si sedeva sopra», hanno testimonato i lavoratori. Il consulente tecnico del Tribunale ha concluso senza ombra di dubbio sulla correlazione tra la morte del lavoratore per mesotelioma e la sua esposizione all’amianto nel corso dei suoi quasi trent’anni di lavoro al Porto di Venezia: «Spetta al datore di lavoro dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno», scrive il giudice, «dall’istruttoria è emerso che nulla è stato fatto dal Provveditorato al Porto, ora Autorità portuale», «nessuno inoltre ha mai informato i lavoratori sulla pericolosità dell’esposizione all’amianto e in ordine alle precauzioni da adottare», «deve dunque ritenersi ascrivibile all’Autorità portuale la responsabilità per la malattia patita dal ricorrente». Il ricorrente nel frattempo è morto per quel cancro e ora sono arrivati 670 mila euro di risarcimento a vedova e figli.

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