Morta per una trasfusione, il Comune risarcirà gli eredi

VENEZIA. Il Comune di Venezia dovrà risarcire con 783 mila euro un famiglia veneziana a causa della morte sei anni fa per un ematocarcinoma causato da una trasfusione eseguita nel 1972 che ha causato a E. V. un’epatite di tipo C. A ottenere il risarcimento, grazie alla sentenza del giudice del Tribunale di Venezia Silvia Bianchi, è stato l’avvocato Enrico Cornelio: sono stati risarciti il marito, la sorella, le tre figlie e i due nipotini. La cifra più consistente è andata al marito, circa 220 mila euro, mentre 25 mila euro ciascuno sono andati ai due nipoti.
I fatti risalgono al 1972, quando la signora era stata ricoverata presso l’ospedale San Giovanni e Paolo per un raschiamento. In quell’occasione era stata sottoposta a una trasfusione e solo nel 2000 le era stata poi diagnosticata l’epatite C. Il risarcimento ricade sulle spalle di Ca’ Farsetti e non dell’Unità sanitaria locale perché queste ultime all’epoca non esistevano e toccava alle amministrazioni comunali coprire gli errori sanitari. «Deve ritenersi provato», scrive la giudice Bianchi, «sotto il profilo della causalità materiale che la signora abbia contratto l’epatite in conseguenza delle quattro trasfusioni eseguite nel 1972: parte convenuta non ha dato prova che fosse stato eseguito qualsivoglia controllo sul sangue che è stato poi somministrato alla signora».
«Il consulente tecnico d’ufficio», prosegue la sentenza, «ha affermato che “nella documentazione sanitaria non sono emersi elementi che possano far sospettare che la paziente fosse, in vita, un soggetto a rischio o che tenesse comportamenti a rischio per l’infezione. Per contro, risulta documentato che la paziente venne ripetutamente sottoposta a terapia trasfusionale nel 1972, epoca in cui non erano in vigore i controlli virologici e sierologici sulle donazioni di sangue... Dobbiamo necessariamente ipotizzare che una delle trasfusioni provenisse da un donatore infetto». Il magistrato veneziano, comunque, sostiene che all’epoca già era noto che le trasfusioni di sangue potevano essere veicolo di infezioni e che, quindi l’ospedale, usando l’ordinaria diligenza, poteva limitare le trasfusioni ai casi di assoluta necessità. «Per questo ne va ravvisata la colpa».
Infine, la giudice Bianchi accoglie la richiesta del marito del risarcimento di 11 mila e 570 euro per spese sanitarie, più 206 mila per il danno della perdita della moglie. Lo stesso per le tre figlie, 130 mila euro ciascuna per le due più anziane e 160 mila per quella più giovane. Infine, ventimila per la sorella e 25 mila ciascuno per i due nipoti, che lei accudiva quando la madre si assentava per il lavoro.
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