Morì sugli sci a nove anni L’incidente resta un mistero

I magistrati veneziani hanno motivato l’assoluzione per Pompanin e Bisotto: «Le ragioni della fuoriuscita sul Canalino della Tofana sono rimaste sconosciute» 

VENEZIA. Nessuna autopsia sulla salma di Andrea. Nessuna responsabilità per gli imputati Luigi Pompanin e Giuseppe Bisotto. La causa precisa della morte del giovanissimo sciatore veneziano tesserato per i Nottoli Vittorio Veneto, sulla pista Canalino del Canalone della Tofana, è rimasta sconosciuta. Andrea Rossato aveva 9 anni, quando giusto il 5 marzo 2011 perse la vita a Cortina. Siccome all’inizio, non era stato ravvisato alcun reato, la Procura della Repubblica non aveva disposto l’esame autoptico. L’ispezione cadaverica esterna aveva permesso di diagnosticare politrauma e traumatismo a livello addominale con soffusioni emorragiche.

Nelle 12 pagine di motivazioni della sentenza di assoluzione, perché il fatto non sussiste chiesta e ottenuta dai difensori Ghezze e Boscarolli e Beltrame, i magistrati della Corte d’Appello di Venezia, spiegano che «nemmeno il grave trauma toracico, che evidenzia solo gli effetti della caduta, risolve in modo certo le ragioni del decesso. Inoltre, le stesse modalità della fuoriuscita della pista e del perché il piccolo Andrea, in quel frangente, abbia perduto gli sci sono elementi rimasti avvolti in un “cono di ombra”, poiché nessuno ha assistito all’accaduto e i pochi dati raccolti non hanno consentito di pervenire a conclusioni tranquillanti».

Il presidente e legale rappresentante della Ista Spa e l’accompagnatore dei Nottoli erano stati condannati in primo grado a un anno di reclusione ciascuno, oltre a un risarcimento danni complessivo di 2 milioni di euro, ma questa sentenza è «frutto di una lettura non puntuale delle carte. Il Canalone era stata considerata difficile e, per questo, etichettata come nera. Ma questo non riguarda il Canalino, la variante Sud, che aveva da tempo acquistato una propria autonomia».

Il tratto di tracciato era largo meno di 20 metri, «ma da nessun elemento concreto risulta che la fuoriuscita dello sciatore sia stata determinata dalla larghezza insufficiente».

L’accusa ha sostenuto che c’erano altre due insidie, cioè un dosso, che impediva la visibilità del tratto successivo, e il larice, che si vedeva a destra e poteva far pensare a un rettilineo, mentre la pista curvava improvvisamente verso destra, dove l’albero non era protetto da un materasso: «Il tratto prima del dosso era lungo 15-20 metri ed era praticamente un falsopiano», replicano da Venezia, «la visuale era ben più ampia e lo sciatore poteva scorgere sia il larice che le piante più basse, le quali escludevano la possibilità di procedere in modo rettilineo. Dunque, non vi era prima del dosso una visuale quasi cieca e fuorviante né a valle un’improvvisa e accentuata curva destrorsa. Un dosso e una curva, che potevano creare qualche difficoltà, in caso di velocità eccessiva».

Nello stesso punto, solo un mese prima, un altro sciatore era forse finito contro il larice. «L’episodio non è per nulla probante. La dinamica è diversa e Rossato non è andato contro l’albero. Non c’è un segno né sul tronco né sui vestiti del bambino». La mancanza del materasso non c’entra, «c’era un banner rosso con la scritta rallentare, che pur in parte ripiegato era leggibile. Quanto al dosso, non costituiva un vero trampolino. Le ragioni di questo incidente sono rimaste sconosciute». Assolti entrambi dall’omicidio colposo. —


 

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