Morì d’infarto, otto mesi all’infermiere

DOLO. Otto mesi di reclusione con la sospensione della pena: questa la condanna per l’infermiere dell’Ospedale di Dolo Fabio Pellizzon, ritenuto responsabile di omicidio colposo per la morte a causa di un infarto dell'ingegnere 30enne Federico Amato.
I fatti sono del 20 agosto di quattro anni fa e in un primo momento il pubblico ministero aveva chiesto l'archiviazione del caso, ma dopo la perizia medico legale voluta dall’avvocato di parte civile Luigino Martellato e disposta dal giudice ed eseguita da Silvia Tambuscio, medico legale di Padova, e Stefano Kusstatschewr, primario cardiologo di Rovigo, la rappresentante dell'accusa si è convinta e aveva chiesto il rinvio a giudizio dell'infermiere. Il giovane professionista era stato stroncato da un infarto, dopo che per un'ora e 18 minuti aveva atteso l'ambulanza, nonostante fossero state ben tre le telefonate al 118. Quando i sanitari erano arrivati in casa dell'ingegnere di Oriago Amato, sempre stando a parenti che si sono affidati all'avvocato Martellato, avrebbero utilizzato un defibrillatore per il cuore che non funzionava o, meglio, le cui pile erano scariche. A chiedere ulteriori accertamenti era stato il legale di parte civile per conto dei genitori del giovane ingegnere. Stando alla ricostruzione dei fatti, dall'abitazione di Amato sarebbero partite ben tre telefonate, la prima alle 17.35, durante la quale erano stati descritti i dolori che il giovane provava e l'operatore dall'altro capo del filo (un infermiere) l'aveva classificato un codice verde (la scala delle urgenze è bianco, verde, giallo e rosso per chi è in pericolo di vita). Venti minuti dopo, nella seconda telefonata, lo stesso operatore aveva continuato a ritenere che non si trattasse di un'emergenza, classificandolo giallo.
Solo alla terza chiamata era scattato il rosso e dopo pochi minuti era arrivata l'ambulanza, ma ormai era troppo tardi. La perizia dei due medici legale ha permesso di stabilire che «l'omissione dell'indagato favoriva in concreto la morte della persona», visto che con la tempestiva assegnazione del codice rosso avrebbe beneficiato in tempi assai rapidi dell'intervento medico e sarebbe stato sottoposto in ospedale ad un intervento, quello di angioplastica, che avrebbe potuto salvarlo. Dunque, a sbagliare sarebbe stato l'infermiere al telefono, mentre le pile scariche del defibrillatore non avrebbero avuto nessun nesso causale con il decesso, visto che comunque ormai era troppo tardi.
Giorgio Cecchetti
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