Moraglia: "Una chiesa radicata nella pace e nella verità"

Il testo integrale dell'omelia pronunciata dal patriarca Francesco Moraglia per l'apertura del Giubileo

VENEZIA. Di seguito il testo dell'omelia pronunciata dal patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, per l'apertura dell'Anno Santo dedicato al Giubileo.

Carissimi fratelli e sorelle, il Dio della misericordia e della pace sia con tutti voi!
Un saluto cordiale rivolgo alle autorità e ai rappresentanti delle confessioni cristiane che hanno accolto l’invito a partecipare a questo momento importante nella vita della nostra Chiesa particolare. 

 

Aprendo la Porta Santa - primo gesto dell’anno giubilare - abbiamo affidato la Chiesa che è in Venezia al Dio della misericordia recitando questa preghiera semplice con cui abbiamo domandato a Dio di salvare tutti gli uomini attraverso una Chiesa sempre più radicata nella verità e nella pace: “Dio, autore della vera libertà, che vuoi raccogliere tutti gli uomini in un solo popolo libero da ogni schiavitù, e doni a noi tuoi figli un tempo di misericordia e di perdono, fa che la tua Chiesa, crescendo nella verità e nella pace, splenda a tutti come sacramento di salvezza, riveli e attui nel mondo il mistero del tuo amore”.


Oggi abbiamo aperto la Porta Santa della chiesa cattedrale; nelle prossime settimane vi saranno le preannunciate aperture della Porta Santa nel santuario di S. Maria Assunta a Borbiago di Mira e nella chiesa parrocchiale di S. Maria Concetta ad Eraclea.
 

Con gioia, poi, oggi annuncio che vi sarà l’apertura di altre due Porte Sante, veramente speciali, nelle cappelle delle carceri veneziane: ciò avverrà in occasione delle mie prossime visite a S. Maria Maggiore (maschile) venerdì 18 dicembre 2015 e alla Giudecca (femminile) martedì 5 gennaio 2016.
Sarà - com’è desiderio del Santo Padre - il segno semplice, autentico e concreto della nostra vicinanza e, soprattutto, del fatto che “la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà” (cfr. Lettera del Santo Padre Francesco con la quale si concede l’indulgenza in occasione del Giubileo straordinario della Misericordia).

L’Anno santo - usiamoci la carità di ricordarcelo - è, per ciascuno di noi, cammino di conversione, strada da percorrere insieme, l’uno accanto all’altro, in modo da ritornare a Dio con tutto il cuore. Il Dio della misericordia si chinerà sulle nostre ferite e ci aiuterà a trovare il percorso attraverso il quale, con le nostre comunità, chiederemo il dono personale e comunitario della conversione. E ci accorgeremo - come accadde ai due discepoli di Emmaus - che la strada in realtà la si percorre col Signore Gesù e, passo dopo passo, riconosceremo il Suo volto  umano e divino.
 

Ma il Suo volto lo riconosceremo attraverso i volti dei tanti fratelli e delle tante sorelle che, ogni giorno, camminano con noi sulla nostra strada. E proprio attraverso questi volti, e mai a prescindere da essi, incontreremo il volto santo del Signore.
 

E’ importante che all’inizio dell’Anno giubilare risuonino, con forza, le parole di Gesù: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 35-36).
L’episodio dei due discepoli di Emmaus, come già detto, costituisce un’icona preziosa per l’Anno giubilare, un’indicazione concretissima a cui riferirci costantemente: la strada - metafora della vita -, il fratello o i fratelli che dividono con noi il cammino della vita, la Parola di Dio al cui contatto il cuore torna ad ardere, l’Eucaristia segno ecclesiale della Sua presenza viva, sostanziale, realissima.

 

Il fratello, la strada, la Parola di Dio, l’Eucaristia celebrata e adorata ci sono dati all’inizio del cammino giubilare. Accogliamoli insieme questi doni per iniziare un gioioso cammino di conversione con le nostre comunità e render così presente dove viviamo la realtà e la bellezza della speranza cristiana.
 

Anche la parabola del buon samaritano ci aiuti a dare un’ulteriore spinta al nostro Anno giubilare. Anche questa parabola - come l’episodio dei due di Emmaus - è ambientata lungo la strada. In essa viene richiesta una condivisione reale con chi soffre; non basta una solidarietà fatta di parole. È necessario fermarsi, fasciare le ferite e recarsi al vicino ostello.
 

La lettera di Giacomo ci aiuta a comprendere: “Se un fratello o una sorella - leggiamo nel testo di Giacomo - sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve?” (Gc 2,15-16).
 

Se non basta esprimere a parole la propria compassione, vicinanza e solidarietà, allo stesso modo non è ancora evangelica un’efficienza fatta di pianificazione e organizzazione che arriva anche al dettaglio ma è priva di carità, ossia di un cuore fraterno capace di condividere personalmente.
 

A tale proposito la prima lettera ai Corinti è chiara: “…se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe” (1 Cor 13,3).
 

Gesù ci chiede così di riscoprire, ridefinire e dare nuovo respiro al modo in cui viviamo la nostra prossimità. Il mio prossimo non è quello che io sono disposto a riconoscere come tale ma colui - chiunque sia - che ha bisogno di me, che mi tende la mano e che io sono nelle condizioni di poter soccorrere. Questo è un tema di riflessione comune e oggetto di un cammino di conversione spirituale, culturale e anche politica che oggi, risulta, tra l’altro, di drammatica attualità.
 

La prossimità va quindi riscoperta, ripensata e ridisegnata alla luce del Vangelo e non dei convincimenti personali o a partire dal comune modo di pensare che per il cristiano deve essere sempre sottoposto al vaglio della Parola di Gesù. La grande sfida che siamo chiamati a raccogliere - a livello personale e comunitario - è ripensare le nostre relazioni umane alla luce della parola di Dio perché, proprio mettendo in questione le relazioni umane, dobbiamo tornare a vivere il Vangelo della grazia, cioè della riconciliazione e del perdono.
Il Vangelo della grazia, della riconciliazione e del perdono è il grande appello che, all’inizio di quest’anno, ci rivolge il Dio della misericordia. E come Gesù nei vangeli ha chiamato gli apostoli, i discepoli e le donne invitando tutti a seguirlo e  indicando loro un cammino preciso e comune, anche adesso chiama ciascuno di noi insieme alla propria comunità di appartenenza.

 

Il cammino che Gesù propone è conversione e, quindi, non si fonda sulla logica del mondo, non è basato sulle sicurezze umane che esprimono il “senso comune” degli uomini e il loro “modo comune” di pensare. Al contrario, seguire Gesù vuol dire convertirsi, ossia rompere gli schemi del “politicamente corretto” così ben veicolato da taluni media. È un percorso che richiede coraggio; anzi, eroicità.
 

Sì, ci vuole coraggio a vivere secondo il Vangelo e la sua logica; la tentazione è risultare graditi a qualcuno, a tutti o al proprio gruppo. Tale tentazione va vinta; creare divisione e polemica, poi, non è ancora garanzia di un bel nulla.
 

L’Anno giubilare, ancora, ci viene incontro con alcuni segni e fra essi alcuni che, tradizionalmente, nella Chiesa esprimono un cammino penitenziale di conversione: sono i segni del pellegrinaggio, della Porta Santa e della ritrovata fraternità che nasce dalla comune riscoperta della paternità di Dio.
 Insieme a questi segni avremo poi quello dei “missionari della Misericordia”, a cui Papa Francesco darà la facoltà di rimettere peccati particolarmente gravi per un ritorno a Dio che - secondo il desiderio del Santo Padre - non mira a ridurre la comprensione della gravità del peccato ma, piuttosto, a consentire un sereno cammino di riconciliazione del penitente; è il caso dell’aborto.

 

La storia di una persona, infatti, può esser segnata da atti particolarmente gravi e, allora, Papa Francesco vuole aprire alla misericordia. Non alla banalizzazione del peccato ma ad una misericordia più ampia, senza - ripeto - banalizzare alcun peccato.
 

Si tratta di andare oltre le valutazioni umane, spesso appiattite sul “buon senso comune” e sul “politicamente corretto” e che, alla fine, giungono anche ad addomesticare la percezione dell’estrema gravità di un’azione come l’aborto procurato. Una cultura - oggi non minoritaria - consente di piangere sui cuccioli di panda o koala che hanno smarrito la propria mamma ma non sui cuccioli d’uomo che chiedono l’accoglienza prima, ossia il diritto a nascere.

Risultano coraggiose e profetiche le parole di cui Papa Francesco si serve nell’enciclica Laudato si’ a proposito del tema dell’accoglienza della vita nascente; è un tema ineludibile all’inizio dell’Anno giubilare della Divina Misericordia.
 

Ripropongo senza commentarle, proprio per la loro chiarezza, le parole di papa Francesco: “…non è neppure compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto. Non appare praticabile un cammino educativo per l’accoglienza degli esseri deboli che ci circondano, che a volte sono molesti o importuni, quando non si dà protezione a un embrione umano benché il suo arrivo sia causa di disagi e difficoltà: «Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono»” (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’, n.120).  
Il Papa parte sempre dall’annuncio della Divina Misericordia e indica l’essenziale da cui ripartire, tanto in termini di conversione personale quanto comunitaria, in vista di una buona vita secondo il Vangelo. Ringraziamo Papa Francesco!

 

In un cammino fatto di concretezza e semplicità evangelica, siamo chiamati a riscoprire ciò che la spiritualità cristiana da sempre riconosce come suo; il Catechismo della Chiesa Cattolica ci chiede di vivere sia le opere spirituali di misericordia sia quelle materiali, secondo la logica del Giubileo della Misericordia.
 Sì, impegniamoci a vivere con le nostre comunità questi gesti di misericordia spirituale e materiale. L’uomo, infatti, non è soltanto un essere spirituale o materiale ma è sempre carne spiritualizzata e spirito incarnato in un volto che mi viene incontro. Ricordiamo, allora, tanto le opere di misericordia spirituale quanto quelle materiali.
Iniziamo dalle prime: consiglia chi dubita e insegna a chi ignora, ammonisci colui che pecca, consola chi è afflitto e, ancora, perdona chi ti ha offeso, sopporta chi ti angustia, prega Dio per i vivi e i defunti.

 

Quelle materiali chiedono di prenderci cura di chi necessita del nutrimento e del vestito, di chi ha bisogno d’essere ospitato e, ancora, di visitare gli infermi e i carcerati e infine di assistere i moribondi.
Infine, l’ultima cosa che desidero ricordare e che, nel cammino del Giubileo, è fondamentale è la riscoperta vera del sacramento della riconciliazione dove è possibile incontrare sacramentalmente - si tratta di un segno ecclesiale - il Dio della misericordia. L’appello qui è rivolto ai confratelli sacerdoti affinché si adoperino lungo tutto l’anno a far riscoprire la bellezza di questo sacramento e la gioia che dona; ascoltino con spirito di misericordia e verità le confessioni dei propri fedeli.

 

A tutti  consegno un stupendo pensiero di Sant’Ambrogio, padre della Chiesa del IV secolo, quando la Chiesa non conosceva le grandi fratture dei secoli successivi. Il pensiero del grande vescovo di Milano ci può introdurre nel modo migliore nel nostro cammino dell’Anno del Giubileo straordinario della Divina Misericordia.
Scrive Ambrogio nel suo commento all’Esamerone: “Terminato il sesto giorno… Dio si riposa da tutte le opere della creazione: si riposa nell’intimo della mente e del cuore dell’uomo… Creò il cielo, ma non leggo che si riposò; creò la terra, ma non leggo che si riposò; creò il sole, la luna, le stesse, neppure qui leggo che si riposò; leggo invece che creò l’uomo e allora si riposò avendo in lui uno in cui poter perdonare i peccati… Si riposò colui che creò: al quale è onore, gloria, perennità dai secoli, e ora, e sempre, e in tutti i secoli dei secoli. Amen” (Sant’Ambrogio, Esamerone, Libro 6, n. 75-76).

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