Moraglia: «La sfida è l’inclusione»
Appello e monito del Patriarca a fedeli e sacerdoti: tutti devono mettersi in discussione, anche noi preti
Foto Agenzia Candussi/ Chiarin/ Mestre cimitero/ Messa per i morti
È un invito a mettere in crisi il nostro io e a superare l’autoreferenzialità ricordando che la vita, anche la più lunga, è solo un breve assaggio di quel che ci attende, quello che arriva dal Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, che ieri pomeriggio ha celebrato nella chiesa del cimitero di Mestre, la messa dedicata alle persone che non ci sono più, a quelle che speriamo un giorno di rincontrare in un’altra vita e a chi veglia dall’alto su di noi.
«La vita cristiana non è solo una vita terrena», ha detto, «ma è anche una vita di testimonianza di qualche cosa che si attende e che dev’essere espresso nella quotidianità: la grande sfida della vita cristiana, breve o lunga che sia, è credere nelle “beatitudini” e quindi rischiare quel modo di essere uomini di cui il nostro tempo, soprattutto oggi, ha bisogno in una società che deve essere molto inclusiva, capace di incontrare gli altri e capire che ci sono dei diritti che possono configgere con i nostri, ma che rimangono diritti anche se sono di altri». Poi l’attualità: «La benedizione delle corone ci ricorda una lezione che gli uomini non imparano mai abbastanza, che è la guerra. La guerra, proprio in questo periodo, è la lezione che i popoli e l’umanità non riesce mai a comprendere come ha detto anche il Papa oggi: la guerra lascia solo tombe e cimiteri e io aggiungo anche problemi che permangono e si ripercuotono con maggiore gravità. Dopo la guerra ci sono le ferite di un’umanità che soffre».
Moraglia, a margine della celebrazione, ha risposto alla domanda su cosa si intenda per “santità”. «Per il cristiano significa accogliere la realtà, viverla con quel supplemento di speranza e di carità che può essere non capito al momento, ma che fa lievitare relazioni differenti. Penso al perdono, a cedere su qualche nostro diritto perché altri diritti siano affermati, la santità è una cosa concreta e semplice, significa fare col Vangelo in mano le cose che quella giornata ci chiede». A concelebrare con Moraglia, tra gli altri, don Danilo Barlese, don Gianni Antoniazzi, il responsabile della Pastorale del lutto, don Armando Trevisiol. In prima fila rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d’arma, autorità civili e militari, il comandante della polizia municipale, Marco Agostini. Per il comune il delegato Luca Battistella. Moraglia ha parlato della necessità di mettersi in discussione, di essere umili, di non dare giudizi e di farsi giudicare dal Vangelo prima di ergersi a guida degli altri. «Chi cerca la felicità, anche quando ha tutti i motivi per esserlo, non lo è». E una frecciatina ai sacerdoti: «Noi preti abbiamo i difetti che hanno tutti gli uomini, e in più abbiamo quelli tipici dei preti». Tra cui anche quello di non mettersi in discussione. Al termine della funzione sono state deposte le corone d’alloro di Comune e Prefettura al monumento ai caduti, al caduto americano, austro-ungarico, ai caduti giuliani e dalmati e alla chiesetta del cimitero.
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