Montefibre, sciopero della fame «Tanti corsi, ma non un lavoro»

La protesta di un gruppo di operai, a casa ormai da cinque anni dopo la chiusura della fabbrica L’accusa della Cgil: «Su trecento dipendenti solo dieci sono tornati attivi grazie alle formazione»
Di Francesco Furlan
Sciopero della fame di alcuni lavoratori della Montefibre - nella foto Salvatore Esposito e Claudio Callegaro
Sciopero della fame di alcuni lavoratori della Montefibre - nella foto Salvatore Esposito e Claudio Callegaro

MARGHERA. La formazione serve a chi la riceve o a chi la fa? Perché se dopo cinque anni di cassa integrazione e uno di mobilità a 850 euro al mese i lavoratori della Montefibre sono ancora a casa c’è più di qualcosa che non funziona.

La Cgil stima che per i corsi di formazione dei 300 lavoratori chimici dell’ex fabbrica di Porto Marghera siano stati spesi, da Europa, Regione e Provincia oltre un milione di euro. Con quale risultato? «Nessuno», dice Davide Stoppa della Filctem-Cgil, «perché con l’eccezione di dieci lavoratori assunti dal Porto per piano di bonifiche gli altri ex chimici si sono arrangiati». Chi è diventato spazzino e chi ha aperto un bar uscendo presto dal tunnel dei corsi di formazione e della mobilità. In mezzo al guado ci sono ancora ottanta lavoratori, per la metà dei quali, sotto i quarant’anni, la mobilità scadrà a fine dicembre mentre per l’altra metà terminerà, alla media di 850 euro al mese, alla fine del 2015. Salvatore Esposito, di 43 anni, e Claudio Callegaro (46) sono tra questi. E sono stufi di aspettare di frequentare corsi di formazione per un posto di lavoro che non arriva e che invece era stato annunciato dal Porto, che ha acquistato l’area ex Montefibre per realizzare un terminal, e ha organizzato una fetta importante dei corsi di formazione. Per questo, da ieri, alla sede della Cgil, un gruppetto di lavoratori ha iniziato lo sciopero della fame. «Fino a che non avremo una riposta», dice Claudio Callegaro, che ormai è disposto a tutto. E il perché è facile da capire. A partire dalla premessa: «Sono un privilegiato, non c’è dubbio», spiega, «perché pur senza lavoro posso godere di un sostegno al reddito. Ma il punto è che io vorrei lavorare. Mi sono messo in gioco e ho frequentato, come mi era stato detto di fare, i corsi per diventare operatore portuale perché ci era stato garantito, a partire proprio dall’Autorità portuale, che ci avrebbero assunto. E invece non è andata così». Non è andata così neppure per Salvatore Esposito, 43 anni, che di 850 euro ne deve girare più della metà in assegni familiari all’ex moglie e alle figlie. In questi anni si è dato da fare, l’ultimo lavoro, trovato grazie a un’agenzia interinale, alla Veritas, a spasso con il camion della raccolta differenziata, a recuperare la carta, la plastica e il vetro. È durato un mese e mezzo, pensava di poter essere assunto, ma l’incarico era solo stagionale.

«Ho già frequentato tre corsi per diventare operatore portuale», racconta, «ma a cosa serve frequentare corsi specifici se poi nessuno ci fa lavorare, nessuno ci assume e tutti sono costretti a cercare un posto altrove?». Per cercare risposte si sono tappati la bocca. Resteranno a digiuno fino a che non arriveranno risposte che non siano la frequenza di un altro corso di formazione.

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