«Monica a casa con l’obbligo di firma»

I legali della Busetto preparano il ricorso al Riesame. Ieri la visita in cella, lei è incredula: «Non riesco ancora a crederci»
Di Francesco Furlan
Via Vespucci 13, Mestre. Luogo dell'omicidio di Lida Taffi Pamio.
Via Vespucci 13, Mestre. Luogo dell'omicidio di Lida Taffi Pamio.

Fare uscire Monica Busetto dal carcere nel quale ha fatto rientro venerdì sera dopo la condanna all’ergastolo per l’omicidio di Lida Paffi Tamio e l’arresto immediato, avvenuto nell’aula bunker di Mestre, disposto dalla Corte d’Assise d’Appello. È il primo obiettivo della difesa.

La visita in carcere. Le due decisioni - condanna e arresto - hanno lasciato senza parole l’imputata e i suoi difensori, gli avvocati Alessandro Doglioni e Stefano Busetto, che ieri mattina sono andati a trovare l’operatrice sanitaria nel carcere della Giudecca. «Ancora non riesco a crederci», ha spiegato frastornata Monica Busetto ai suoi legali, con la stessa incredulità negli occhi con cui, venerdì sera, ha accolto la lettura della sentenza da parte del presidente della Corte d’assise d’appello Gioacchino Termini. Il tempo di salutare i genitori e poi è stata accompagnata in cella dagli agenti di polizia.

Tribunale del riesame. Tra martedì e mercoledì quindi i legali presenteranno ricorso al Tribunale del Riesame chiedendo la revoca dell’arresto in carcere, contestando il pericolo di fuga che invece è stato alla base della richiesta di arresto immediato formulata l’altro giorno dal sostituto procuratore generale, Francesco Cicero. L’avvocato Doglioni chiederà di sostituire il carcere con la misura dell’obbligo di firma e di dimora - regime cui la donna era sottoposta dopo la scarcerazione, lo scorso marzo - ma è chiaro che anche gli arresti domiciliari permetterebbero di portare l’operatrice sanitaria a casa, con il supporto della famiglia, in particolare dei genitori, che le sono stati vicini e l’hanno sempre sostenuta in questi mesi difficili.

Ricorso in Cassazione. Il passo successivo della difesa, una volta lette le motivazioni della sentenza, sarà il ricorso alla Corte di cassazione. Sentenza e arresto sono arrivati come un colpo di scena da incubo per un’imputata che, solo pochi mesi fa, credeva di essersi lasciata l’esperienza del carcere - 762 giorni - alle spalle. In primo grado, alla fine del 2014, Busetto è stata condannata a 24 anni e 6 mesi di carcere per l’omicidio della vicina di casa, Lida Taffi Pamio, avvenuto nel dicembre del 2012 nel suo appartamento al civico 13 di viale Vespucci. Busetto avrebbe ucciso la vicina di pianerottolo perché parlava male di lei con gli altri condòmini del palazzo.

La collanina e il Dna. A incastrare la Busetto una traccia di dna della vittima - infinitesimale, contestata dalla difesa secondo la quale è frutto di una contaminazione - trovata su una collanina d’oro a casa della Busetto. «Una collanina che la vittima portava tutti i giorni», ha sempre spiegato la difesa, «la traccia di dna dovrebbe essere ben superiore se è vero che quella collanina è sua». Il primo colpo di scena arriva dopo l’omicidio, il 29 dicembre del 2015, di un’altra anziana, Francesca Vianello, per la quale, tre giorni dopo, finisce in manette Susanna “Milly” Lazzarini, il movente è di natura economica. I due delitti, emerge dalle indagini, sono molto simili.

Le versioni di Milly. Nel febbraio del 2016 Lazzarini si accusa anche del delitto Pamio e infatti si scopre che sono riconducibili a lei alcune tracce di dna trovate sulla scena del delitto nell’appartamento di viale Vespucci. Il 2 marzo Busetto viene scarcerata. Sembra la fine di un incubo ma non è così perché la Lazzarini cambia di nuovo versione dei fatti, sostenendo infine - ascoltata in aula - che ad uccidere la Pamio sarebbero state entrambe ma che a dare il colpo finale sarebbe stata la Busetto e spiegando inoltre che quando erano rinchiuse nel carcere assieme Busetto le avrebbe proposto di farsi carico da sola dell’omicidio e che in cambio avrebbe pensato lei alla sua famiglia, vendendo la casa di proprietà. Una versione dei fatti a cui la Corte d’Assise d’Appello ha dato credito.

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