Misericordia, la storia del basket Quando si giocava nella “chiesa”

«Per i miseri implora perdono, per i deboli implora pietà». Il vecchio inno della Misericordia risuona nelle grande sala capitolare restaurata della cinquecentesca Scuola Grande. Un luogo mitico, che ha fatto la storia del basket e visto passare generazioni di veneziani. Un affetto che si respira ancora tra i più attempati veneziani di Cannaregio. Un pezzo di storia ricostruito nel piacevole documentario realizzato da Carlo D’Alpaos - con le immagini di Piero Zaniol - che prima di inventarsi Carlo&Giorgio faceva il playmaker.
«Andiamo a giocare in una chiesa», era il commento stupito delle squadre ospiti. Chi arrivava a Cannaregio, nella “palestra più bella del mondo” si rendeva subito conto di quanto fosse importante, per la Reyer di allora, giocare alla Misericordia. Mille spettatori stipati in ogni dove. Arrampicati sui finestroni, in piedi a pochi centimetri dalla linea di bordo campo. Tifosi a stretto contatto con le panchine dei giocatori e con gli arbitri, un “catino infuocato” da dove anche le squadre più forti faticavano a uscire vincitrici.
Ricordi che scorrono sul video, con le immagini in bianco e nero delle partite. In sala ci sono molti dei protagonisti di quegli anni. La Reyer ha giocato in serie A alla Misericordia fino al 1977, anno del trasferimento nel nuovo palazzetto dell’Arsenale, e dieci anni dopo era arrivato quello definitivo in terraferma, al Taliercio. Manolo Guadagnino, Lorenzo Carraro, il recordman dei punti segnati con la Reyer, Ezio Lessana, Franco Ferro, Giorgio Cedolini. L’arbitro Stefano Cazzaro, l’allenatore Tonino Zorzi, il mitico Dan Peterson. Frammenti di storia, ricordi delle domeniche pomeriggio passate in piedi ad aspettare che aprisse il portone verde sulla riva del rio di Noale. Biglietteria piccola, palestra piccola. I più fortunati correvano d’un fiato per la scala in legno fino al piano superiore per assicurarsi il posto migliore.
Poi in fondamenta i più giovani aspettavano le squadre ospiti per gli autografi. Passavano campioni come Dino Meneghin, Giulio Iellini, il grande Simmenthal, Marzorati, gli americani, allora due per squadra e non di più. Si giocava un basket diverso, senza tiri da tre punti, tanti palleggi, passaggi sotto canestro e tiri in sospensione. Nelle immagini si vedono gesti atletici di altri tempi, il gancio dei “piccoli”, le entrate, i tiri “alla vecia” di Alberto Merlati.
La Misericordia era un luogo sacro e anche una palestra. Il basket tra gli affreschi dei profeti di scuola Veronese, splendidamente riportati alla luce dal restauro diretto da Alberto Torsello. La sala dove si riunivano i confratelli, la più grande in città dopo quella del Maggior Consiglio, 47 metri per 20 e alta 12 e mezzo. Sotto, le colonne binate che dividono il grande spazio in tre navate, su disegni di Jacopo Sansovino. Al piano terra la boxe e la lotta greco romana, la ginnastica e la scherma. Sopra, l’atletica e il grande basket, ma anche i ragazzi delle medie. Un bel giorno, nel 1985, la Soprintendenza si era accorta degli affreschi. E aveva vietato il gioco con i palloni. Cominciava il triste declino della Misericordia. Chiusa e pian piano abbandonata. Minata alle fondamenta dal degrado e dal moto ondoso. Qualche anno fa il bando di gara per assegnarla in concessione ai privati in cambio dei restauri e dell’apertura alla città. Gara vinta da Umana, la società del sindaco Luigi Brugnaro. «Ringrazio il sindaco, il presidente della Reyer e il paron de casa», ha detto in apertura Carlo D’Alpaos, «ma mi dicono che sia la stessa persona...».
Applausi anche dal diretto interessato, seduto in prima fila. Undici milioni di spesa e un grande successo nei primi giorni di apertura, migliaia di veneziani emozionati nel far ritorno dentro la Misericordia tornata a vivere. Ieri la festa con i ragazzi del basket e i campioni della Reyer. Ora la Scuola Grande aprirà per la Biennale, mostre, concerti ed eventi.
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