Mira, sindaco e sei dirigenti a giudizio per lesioni colpose

Un ragazzo era precipitato dal tetto della piscina restando invalido al 100% La famiglia annuncia una richiesta di risarcimento non inferiore ai quattro milioni

MIRA. Avrà inizio il 26 gennaio, davanti alla giudice Sara Natto, il processo per l’incidente che ha ridotto invalido al 100 per cento il giovanissimo Giovanni Zecchini, precipitato dal tetto della piscina comunale di Mira sul quale si era arrampicato. A rispondere di lesioni colpose gravissime sono chiamati in sette: il sindaco Alvise Maniero; Marino Vanzan, della società G.P. Nuoto che gestisce la piscina; Roberto Cacco, dirigente dei Lavori pubblici del Comune; Nicoletta Simonato, presidente della Commissione vigilanza sui locali di pubblico spettacolo; Giancarlo Gruarin, responsabile della sicurezza per la piscina; Adriano Sinigaglia, amministratore di Atheste Costruzioni di Este che aveva vinto l'appalto per la costruzione della piscina, e Sandro Destro, titolare dell'altra ditta appaltatrice, la Ids di Rovigo. Per tutti la Procura aveva chiesto l’archiviazione, ma ad opporsi erano stati gli avvocati Augusto Palese, Renato Alberini, Gian Luca De Biasi e Paolo Vianello, parte civile per i genitori e i parenti del ragazzo, rimasto invalido al 100 per cento e che annunciano una richiesta di risarcimento non inferiore ai 4 milioni di euro. Il giudice Comez - a maggio - aveva ordinato alla Procura di formulare il capo d’imputazione e nei giorni scorsi è stato emesso il decreto di citazione diretta a giudizio: si va a processo.

La sera del 19 luglio 2012 Giovanni assieme a due amici aveva scavalcato un muretto e si era arrampicato sul tetto della piscina, per fare alcune foto, scalando una parete a gradoni. Una volta su, però, aveva messo un piede su un lucernaio, precipitando all'interno della vasca, vuota. L’accusa, per tutti gli imputati, è di lesioni colpose «per negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza delle leggi, violazione delle norme sulla prevenzione infortuni», «per avere, nell’ambito delle rispettive competenze e attribuzioni e l’omessa vigilanza sull’operato dei rispettivi delegati e preposti» non valutato i rischi, non recintando adeguatamente l’area d’accesso alla piscina dove si trovavano i listoni che avrebbero consentito la risalita del ragazzo e dei suoi amici»; non «adottato presidi infortunistici e di protezione collettiva (rete anticaduta, protezione a botte, parapetti)». Ancora, per non aver adottato «in ossequio al principio di prudenza le opportune cautele atte a evitare l’accesso all’edificio», pur sapendo che la piscina in costruzione «era divenuta nell’estate 2012 luogo d’incontro tra i giovani del circondario». «Duole far notare», osservano i legali della famiglia, «come le compagnie assicurative delle strutture, al momento, siano state assenti. Ciò ha indotto ad insistere energicamente nell'azione penale a tutela dei legittimi diritti di una famiglia profondamente colpita».

Roberta De Rossi

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