«Mio marito ucciso dal mobbing». L’accusa della moglie di Pasetto

San Donà. Barbara Maggioli ripercorre la lunga battaglia legale del marito contro il Comune fino alla morte nel 2016 dell’ufficiale della polizia locale . «Chiederò un maxi-risarcimento»
UFFICIO RECLAMI MARCO PASETTO SAN DONA' (GAVAGNIN)
UFFICIO RECLAMI MARCO PASETTO SAN DONA' (GAVAGNIN)

SAN DONÀ. «Mio marito ucciso dal mobbing». Parla Barbara Maggioli, ex vigilessa a San Donà, vedova di Marco Pasetto, capo servizio della polizia locale e vice comandante a San Donà. Ora la Maggioli lavora in biblioteca dopo un lungo contenzioso che l’ha accomunata al marito fino alla sua morte nel dicembre 2016 a 66 anni. Non le fu assegnato un posto in ufficio e fu trasferita in biblioteca dove per un certo periodo ha continuato a indossare la divisa.

Ora la Cassazione ha respinto il ricorso del Comune contro Pasetto. Una vittoria dopo oltre 60 procedimenti disciplinari nei sui confronti, sei licenziamenti. La sua denuncia per mobbing è costata 400 mila euro di cause giudiziarie al Comune. E il mobbing esaminato dalla Cassazione si riferisce solo agli anni 2002-2004, giudicando privo di fondamento il ricorso del Comune che aveva impugnato nel 2013 la sentenza della Corte d’Appello che confermava la condanna in primo grado per il risarcimento dei danni biologici e morali.

COLUCCI - DINO TOMMASELLA - SAN DONA' - PASETTO MARCO
COLUCCI - DINO TOMMASELLA - SAN DONA' - PASETTO MARCO

Pasetto aveva denunciato la privazione del suo potere gerarchico, l’esclusione dai piani di lavoro, ma anche il salario non commisurato, la distrazione della posta. Gli “ermellini” hanno dunque riconosciuto le caratteristiche del mobbing, confermando la sentenza dell’Appello.

Ora cosa succederà? «Cerchiamo un avvocato determinato per chiedere un risarcimento importante. Mio marito è morto per il mobbing subito in quegli anni e poi quelli successivi. La letteratura scientifica e medica conferma le cause di ictus legate alle tensioni provocate sul lavoro».

Come è arrivato Pasetto a San Donà? «Era stato assunto nel 2000 con regolare concorso nella polizia ecologica e ambientale perché mancava questa figura, poi capo servizio della polizia amministrativa con la prospettiva di assumere il comando».

E perchè non divenne comandante? «Ne aveva tutti i requisiti, poi ci fu un cambio di amministrazione comunale. La nuova volle istituire un dirigente e comandante della polizia locale, in capo alla dottoressa Danila Sellan che arrivava da Treviso. Mio marito chiese il rispetto delle leggi e da allora fu il bersaglio di mobbing ininterrotto fino a quando è purtroppo morto. L’ictus è provato sia essere il risultato di tensioni anche nel posto di lavoro. Noi consideriamo nella futura causa anche gli anni che vanno dal 2004 al 2012, anno del licenziamento».

E adesso? «Io e le nostre due figlie, che erano bambine in quegli anni, chiediamo giustizia per lui, per la sua figura. Ci rivolgiamo a uno studio legale che voglia prendere in mano i contenziosi passati per chiedere un congruo risarcimento. Oggi Marco ha avuto una prima vittoria, peccato non sia qui con noi. È giusto sia riconosciuto quello che abbiamo dovuto subire in questi anni. La giustizia divina provvederà al resto».

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