«Mio marito malato terminale costretto dall’Inps alla visita»
CAVALLINO. La sua aspettativa di vita è di meno di un mese per una malattia fulminante ma l’Inps lo obbliga al trasferimento in ambulanza negli ambulatori di Marghera per garantirgli una visita medica prima della dipartita. È la paradossale situazione in cui si trova un malato terminale, padre di famiglia di 56 anni, protagonista di una storia di estremo amore famigliare, ma anche di paradossale rigidità della burocrazia previdenziale, iniziata nei primi giorni dell’anno quando è stato ricoverato d’urgenza in un ospedale del veneziano per un ictus cerebrale.
È stato proprio durante la riabilitazione seguita al danno neurologico che i famigliari hanno scoperto dai vari check up che, invece, le sue condizioni di salute erano molto più gravi, perché un male incurabile lo stava infatti consumando attaccando organi vitali per i quali non c’è soluzione terapeutica. Da lì la scelta della moglie e delle figlie di proteggerlo dalla depressione inevitabile dovuto a un esito che gli sarà fatale fra poche settimane, facendogli vivere la riabilitazione neurologica, che fra gli altri comporta il recupero dell’afasia, come l’unico scoglio verso la salute e la normalità.
«È stata una decisione sofferta», racconta la moglie, «ma ci siamo fatte coraggio. Lo abbiamo portato via dall’ospedale per tenercelo a casa dove poteva riposarsi ed essere curato dalla sua famiglia. Gli abbiamo voluto regalare un ultimo periodo di serenità e goderci con lui l’ultimo tempo rimasto». Se non fosse che la mancata comunicazione all’Inps dei certificati medici al momento del ricovero abbia fatto sorgere proprio in questi giorni la necessità da parte dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale di accertare le sue condizioni di salute in vista di un reinserimento lavorativo ma anche per garantirgli i sussidi previsti per la sua condizione di salute, fissandogli la visita medica negli ambulatori di Marghera per i primi giorni della prossima settimana.
«È incredibile», commenta la moglie, «dover obbligare un malato terminale da giorni immobilizzato a letto sotto morfina a un trasferimento in ambulanza di un’ora all’andata e un’ora al ritorno per fare una visita all’Inps. Un viaggio dal quale ci metterà una settimana a riprendersi per i disagi e dolori che gli provocherà. Con l’aggravante che, non sapendo ancora che se ne andrà a breve, questa visita inaspettata potrebbe turbarlo inutilmente. Il tutto nonostante sia stato inviato all’Inps un certificato del nostro medico di base che dichiara il suo stato di malato terminale».
«Basterebbe che invece di muovere tutta la commissione, venisse a visitarlo un solo medico per poi relazionare agli altri», commenta Franco Bastianello di Uildm, «per casi di malati terminali come questo la commissione di quattro medici dell’Inps programma infatti trasferte massimo due volte all’anno compiendo in un giorno diverse visite già programmate, procedura che in questo caso non sarebbe praticabile data la troppo breve aspettativa di vita del paziente. I casi di malati terminali non sono gli unici: ci sono ipovedenti e ciechi che, nonostante la legge preveda 90 giorni massimi, attendono invece da anni la visita dell’Inps perché non sono ancora stati nominati i medici oculisti".
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