Milly, condanna confermata a 30 anni

La Corte d’Assise d’Appello ha respinto il ricorso della difesa che puntava sull’assenza di premeditazione del delitto
Interpress/M.Tagliapietra Venezia 01.01.2016.- Delitto Francesca Vianello. Conferenza stampa arresto omicida Susanna Lazzarini. Nella foto la vittima: Francesca Vianello
Interpress/M.Tagliapietra Venezia 01.01.2016.- Delitto Francesca Vianello. Conferenza stampa arresto omicida Susanna Lazzarini. Nella foto la vittima: Francesca Vianello
Alla lettura della sentenza, arrivata dopo una camera di consiglio lampo durata 40 minuti, ha alzato le spalle, sconsolata. Che le cose non si mettessero bene per Susanna “Milly” Lazzarini, ieri davanti alla Corte d’assise d’appello per l’omicidio della 81enne mestrina Francesca Vianello, ex dipendente del Casinò, lo aveva capito la stessa imputata, difesa dall’avvocato Mariarosa Cozza, tenuto conto di una camera di consiglio così breve per un reato grave come quello di cui doveva rispondere. Partiva da una sentenza di condanna a 30 anni per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dalla rapina, pronunciata a novembre 2016 dalla gup Barbara Lancieri al termine del rito abbreviato.


E la Corte, riunita in aula bunker a Mestre, ha confermato la pena: secondo i due giudici togati e i sei popolari, Susanna Lazzarini è la responsabile del delitto consumato il 29 dicembre 2015 in un appartamento di Corso del Popolo. E lo avrebbe fatto avendo premeditato il piano per uccidere la conoscente. Non solo: secondo i giudici, tra il delitto e la rapina ai danni di Vianello c’era un nesso causale. Non si era trattato, insomma, di una lite degenerata. Ieri Milly è arrivata prima delle 9.30 nell’aula di via delle Messi a Mestre dal penitenziario femminile della Giudecca, dov’è stata trasferita da tempo. Davanti ai giudici, nell’udienza in camera di consiglio e quindi non aperta al pubblico, non ha rilasciato dichiarazioni. Ha ascoltato in silenzio la requisitoria del sostituto procuratore generale Giuseppe Costanzo Salvo che ha cercato di confutare i motivi dell’appello presentato dalla difesa, avvalendosi di citazioni di giurisprudenza e di dati emersi nel corso delle indagini. Poi ha ascoltato l’arringa del suo avvocato finalizzata a smontare sia l’aggravante della premeditazione che quella del nesso causale con la rapina. «La giurisprudenza individua alcune specifiche caratteristiche della premeditazione», ha chiarito l’avvocato Cozza che nell’arringa ha cercato di confutare le argomentazioni della condanna in primo grado, «Ho contestato la conclusione che l’omicidio sia stato compiuto per fare la rapina. Io sostengo che il nesso causale non ci sia e si sia trattato invece di un fatto occasionale». Secondo la tesi accusatoria sostenuta in primo grado dalla pubblico ministero Alessia Tavarnesi, Milly era partita da casa avendo in borsa una corda e un paio di guanti in lattice, ovvero tutto l’occorrente per uccidere se fosse servito. Lazzarini era andata a trovare Francesca Vianello, amica d’infanzia della madre, per spiegarle che non riusciva a restituirle il denaro che l’anziana le aveva prestato. Tra le due donne era scoppiato un litigio: Lazzarini aveva stretto la corda al collo dell’81enne e l’aveva uccisa. Quindi le aveva rubato il bancomat e il codice pin, con il quale preleverà 500 euro e andrà a fare spese. «Un’azione spregevole», l’aveva definita la gup nella sentenza, evidenziando come la donna non avesse particolari problemi economici e anzi, giocasse d’azzardo.


Senza le due aggravanti, la pena per Lazzarini si sarebbe drasticamente ridotta. Ma i giudici della Corte d’assise d’appello hanno sposato la linea della Procura generale, respingendo l’appello della difesa e confermando la condanna. Entro 90 giorni dovranno essere depositate le motivazioni della sentenza, dopodiché la linea difensiva è già segnata: Lazzarini ricorrerà in Corte di Cassazione. Ieri, dopo la lettura del dispositivo, la donna ha confidato all’avvocato di voler andare avanti ancora. Lei l’omicidio lo ha confessato subito dopo essere stata arrestata. E in aula, nel corso dell’udienza preliminare nel procedimento di primo grado, aveva chiesto scusa. Del delitto, però, non si ricordava nulla: «Ho stretto le mani attorno al collo, poi soltanto buio».


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