Migranti, niente hub veneziano E intanto ne arrivano altri 50

Sopralluogo di prefetto e vigili del fuoco: le ex caserme di Ceggia, Meolo e Caorle cadono a pezzi e non possono essere centri di smistamento. Si spera in convenzioni con associazioni private
Di Vera Mantengoli
MEOLO - FGAVAGNIN - COLUCCI - LA DELEGAZIONE ALL'INTERNO DELLA EX CASERMA DI MARTEGGIA
MEOLO - FGAVAGNIN - COLUCCI - LA DELEGAZIONE ALL'INTERNO DELLA EX CASERMA DI MARTEGGIA

Sono ridotti talmente male da non poterli neppure chiamare ruderi. È questa la diagnosi della Prefettura sui tre beni di proprietà demaniale che nei giorni scorsi erano stati individuati come possibili «hub», i centri dove trasferire momentaneamente i migranti. Oltre alle tre caserme ridotte in pessime condizioni a Ceggia, Meolo e Caorle in provincia di Venezia, non sono utilizzabili nemmeno quelle di Abano a Padova e Codognè a Treviso.

Una situazione che non lascia spazio ad alcuna soluzione, se non quella di sperare in altre convenzioni (anche con privati), oltre a quelle già avviate con Caritas e la cooperativa Villaggio Globale. Per adesso i profughi arrivati nei giorni scorsi e quelli giunti ieri in serata sono stati collocati in apposite strutture, ma se si verificherà un’altra ondata si presenterà un problema non da poco. Ieri il prefetto Domenico Cuttaia, il vice Vito Cusumano e il comandante dei vigili del fuoco Loris Muraro hanno spiegato i numerosi motivi che rendono perfino impossibile pensare di utilizzare le proprietà demaniali, a partire dalle strutture che sono pericolose e potrebbero crollare da un momento all’altro. Erano anni che le caserme erano abbandonate, ma prima del sopralluogo c’era la possibilità che potessero essere temporaneamente usate, magari per installare un tendone provvisorio. La visita però non ha lasciato dubbi: tassativamente inagibili. La ricognizione è stata fatta con Cusumano, Muraro, un rappresentante dell’Asl 10, un funzionario del demanio regionale e i sindaci dei rispettivi paesi. Dopo il giro di perlustrazione è stato chiaro a tutti l’impossibilità di recuperare gli edifici.

Non solo la folta e invadente vegetazione si è insediata nelle strutture, creando un habitat umido, pieno di insetti e igienicamente a rischio, ma parte di questi stabili sorgono in zone da bonificare, con forte presenza di amianto, quindi altamente inquinate. «Questo è quello che offre lo Stato», ha detto Cuttaia, «e non si possono nemmeno chiamare ruderi». Muraro ha inoltre spiegato che gli edifici erano stati costruiti durante la Guerra fredda in modo da essere autosufficienti. Questo significa che per avere luce e gas bisognerebbe convertire gli impianti. Un altro motivo è che si trovano al di sotto del livello del mare e quindi a rischio allagamento. Insomma, per adesso non ci sono «hub» in vista. Cusumano ha poi aggiornato il numero degli arrivi, decisi a seconda del numero degli abitanti della Regione. In Veneto 66 persone sono arrivate sabato scorso e ora si trovano in quattro province non veneziane; 150 persone sono giunte ieri sera in aeroporto a Verona, di queste 52 saranno dirette a Venezia, nei centri convenzionati. Cuttaia ha ribadito la complessità dell’operazione che vede in campo governo, Regione e autonomie locali, l’importanza della visita medica e l’attenzione che ha la Prefettura per suddividere i gruppi in modo che non si creino scontri tra popolazioni.

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