Metti sette giorni senza usare il cellulare «I più preoccupati erano mamma e papà»
MESTRE. Sette giorni senza cellulare? Si può. E non è poi così male. Basta chiederlo ai circa trenta giovani tra i 17 e i 18 anni che frequentano le scuole di Mestre e che hanno partecipato a un campo estivo dell’Azione Cattolica in uno dei rifugi della Diocesi di Venezia a due passi da San Vito, Chiapuzza.
Una volta arrivati per vivere una settimana in compagnia, gli animatori hanno proposto loro di spogliarsi dello smartphone. Tutti i telefonini sono stati presi e messi al sicuro in una stanza. Nessuno li ha sfiorati per sette giorni, nemmeno per mandare un messaggino alla famiglia. I genitori sono stati avvertiti, per le emergenze c'era un telefono fisso.
«All’inizio mi è sembrata una cosa strana», racconta Giulia Cestaro, 18 anni, «per me è stata la prima volta, non ero mai rimasta tanto senza tecnologia. E’ stato fantastico, si vive bene. Quando ci è stato restituito ci siamo domandati: ma era davvero fatto così? Quasi ti dimentichi come funziona. Senza telefonino si sta in compagnia a ridere, scherzare, si comprende il valore dei rapporti umani, che la tecnologia a volte rovina. Se c’era una litigata, ci si guardava in faccia e si rivolveva, oggi con le faccine e i messaggi è tutta un’altra cosa, ci si nasconde dietro uno schermo».
Le famiglie, dubbiose, se ne sono fatte una ragione. «La maggior parte di noi è stata soddisfatta, ha accettato la cosa di buon grado, alcuni però hanno fatto notare che i genitori volevano sentirli tutte le sere per sapere come andava, ma alla fine hanno ceduto». Anche perché, nel caso di emergenze, c’era il telefono fisso.
Racconta ancora: «Alla fine della settimana gli animatori ci hanno chiesto come ci siamo trovati senza stare a postare, a mandare messaggini, controllare i ‘mi piace’: abbiamo fatto molta più amicizia così che se li avessimo avuti». Niente WhatsAppini, niente post. «Ci si diceva, domani alle 8 colazione, e all’ora giusta tutti eravamo seduti. Durante le gite siamo stati assieme, non ci siamo mai persi di vista. E’ stata una novità per tutti, ho trovato un’altra famiglia ed essere senza cellulare ha contribuito, altrimenti ognuno sarebbe stato in compagnia del suo smartphone».
«C’è una ragione educativa di fronte a questa proposta che deve essere libera», spiega don Fabrizio Favaro, responsabile della Pastorale giovale della Diocesi, «a volte lo smartphone rappresenta una via di fuga per chiudersi, estraniarsi, ignorare le persone che ci stanno di fronte. Non lo si fa per far passare l’idea che la tecnologia sia negativa, assolutamente no, non sarebbe corretto. Lo scopo è provare a dedicarsi all’altro, vivere i rapporti umani senza pensare a chi si ha lasciato a casa, alle App che ci portano da un’altra parte, pensando solo a chi ci sta di fronte per fare esperienza vera di chi è con noi. Viviamo con la tecnologia, ma è importante starci dentro conservando l’umanità». Dice don Fabrizio: «A volte chi fa più fatica sono i genitori, i figli si dimenticano più facilmente del cellulare». —
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