Meteo-catastrofismo: “Il mare si innalzerà di 5 metri sommergendo Venezia, Mestre e tutto il Miranese”

SANTA MARIA DI SALA. «Nel 2050 Santa Maria di Sala avrà la spiaggia». Non è uno scherzo, né una trovata pubblicitaria di qualche agenzia turistica. È l’allarme lanciato sugli inquietanti effetti che il cambiamento climatico rischia di avere sull’hinterland veneziano. I dati sono concreti e provengono da Climate Central, un’organizzazione di ricerca scientifica statunitense.
Sul suo sito una serie di mappe interattive propone diversi scenari di innalzamento dei mari, in conseguenza al riscaldamento globale. Si ipotizzano futuri possibili, “giocando” su alcuni parametri: diverse proiezioni sul livello delle acque, tempestività delle politiche ambientaliste, pura e semplice fortuna. Quanto segnalato da Stefano Artusi di Possibile, per quanto terribile, non è affatto inverosimile o catastrofista: «In uno degli scenari mediani (non certo il peggiore)», spiega, «con l'aumento di 4 gradi, gran parte della Città metropolitana di Venezia verrebbe letteralmente sommersa».

Accadrebbe con un innalzamento del mare di 5 metri nei prossimi 30 anni, che restituirebbe una situazione devastante per il nostro territorio. All’alba del 2050 finirebbero sott’acqua, non solo Venezia e Mestre, ma anche la quasi totalità della Riviera del Brenta, buona parte del Miranese, il Veneto Orientale e l’intera zona meridionale della provincia. I centri di Mirano e Dolo, così come Maerne, diverrebbero isolette sperdute in un immenso acquitrino; Spinea e Mira sarebbero ridotte a poco più che sparuti faraglioni. E la nuova costa arriverebbe fin quasi alle porte di Padova.
Un futuro da brividi in un territorio che ha sempre temuto per Venezia, ma raramente ha messo in conto un destino simile anche per l’entroterra. Che fare, dunque, per scongiurare il fato di “Atlantide del terzo millennio”?
Fermo restando che servono azioni decise a livello statale e sovranazionale, «bisogna implementare l’adattamento del territorio per meglio resistere ai cambiamenti climatici», scrive Artusi, «partendo dai boschi di pianura e dalla difesa degli alberi esistenti, fino alla conversione ecologica dell’economia. Chiediamo un impegno maggiore all’amministrazione rispetto le azioni previste (ma di fatto rinviate) dal Paes». Già, il Paes: il Piano d’azione per l’energia sostenibile, adottato dai moltissimi Comuni che hanno firmato il primo patto dei sindaci.

Si tratta di un accordo internazionale promosso dalla Commissione Europea a partire dal 2008, e sottoscritto da oltre 10 mila amministrazioni locali di tutto il continente. Attraverso gli interventi previsti dal Paes – efficientamento energetico, utilizzo di energie rinnovabili, decarbonizzazione – il Patto impegnava gli enti pubblici a ridurre le emissioni di Co2 del 20% entro il 2020 (rispetto ai livelli del 2005).
Traguardo quasi sempre raggiunto, come dimostrano gli ultimi monitoraggi in diverse città: Venezia -19,8% al 2016 (da 1,25 a 1 milione di tonnellate annue di Co2); Spinea -28,9% al 2019; Mirano -31,7% al 2015; Santa Maria di Sala -26% al 2017; Martellago -25,7% al 2017. Ma gli obiettivi del Paes scadono quest’anno, così è stato proposto un secondo, più ambizioso patto dei sindaci: ridurre le emissioni del 40% (sempre rispetto al 2005) entro il 2030.
In pratica un taglio di uguale consistenza nella metà del tempo, da attuare tramite un nuovo piano, il Paesc (Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima). Ma qui il Veneziano è in ritardo: in tutta la provincia solo 2 Comuni l’hanno già presentato (Caorle e San Donà), contro 5 nel Padovano, 6 nel Veronese, 17 nel Vicentino e ben 24 nel Trevigiano. Altre città hanno firmato da poco il Patto 2030 (come Venezia ad aprile e Martellago a maggio) e si preparano a stilare il Paesc, ma la maggior parte non ha ancora avviato l’iter ed è, se così si può dire, in alto mare. Sperando di non trovarsi la spiaggia sotto casa. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia