Mestre, sei condanne per l’aggressione a Sinopoli
MESTRE. È finito con sei condanne il processo per la morte del promotore finanziario Gabriele Sinopoli, colpito con un violento pugno nel settembre 2012, dopo aver ripreso un gruppo di amici che stazionavano in mezzo a via Verdi impedendogli il passaggio in auto.
I sei giovani sono stati condannati, ieri, dal giudice per le udienze preliminari Alberto Scaramuzza a pene variabili dai 5 anni e i 2 anni e 8 mesi, per l’accusa di lesioni gravissime, rapina e violazione di proprietà privata in concorso, dopo che l’iniziale imputazione di omicidio preterintenzionale è stata fatta cadere dallo stesso pm Stefano Buccini, dopo che le perizie medico legali hanno stabilito che la morte dell’uomo - giunta a distanza di 19 mesi - non era connessa strettamente all’aggressione subita.
La condanna più pesante a 5 anni, un mese e 10 giorni di reclusione per il 24enne Giuseppe De Simone, il giovane che colpì Sinopoli con un pugno al volto, dando il via al calvario dell’uomo; 4 anni, 5 mesi e 10 giorni di reclusione Sebastian Troiani, 29 anni, e Antonio Marigliano, 21; 2 anni e 8 mesi la pena per Andrea Campagna, 27 anni, e Marco Seibessi, tutti di Marghera. Infine, 3 anni, 9 mesi e 10 giorni di condanna per Giuseppe Bartolo, 32, di Zelarino. Per tutti, poi, una provvisionale di 12 mila euro quale anticipo sul risarcimento danni che sarà discusso in sede civile. Nella sostanza, il giudice Scaramuzza ha accolto la tesi del pm Stefano Buccini - che pure aveva chiesto condanne più pesanti, per complessivi 36 anni di reclusione - circa la responsabilità dell’intero gruppo di amici per quanto accaduto, anche se ad aggredire fisicamente Sinopoli è stato il solo De Simone (per il quale, reo confesso, gli avvocati difensori Pattarello e Pietramala avevano chiesto il minimo della pena). Per l’accusa - secondo una ricostruzione effettuata grazie anche alle telecamere in zona - il gruppo di amici era invece restato sempre unito e, come tale, corresponsabile di quanto accaduto, fino al punto di bere tutti insieme un cappuccino al bar dopo il parapiglia. Tesi combattuta dagli avvocati difensori Claudia De Martin e Nicoletta Capri, che hanno differenziato il ruolo “non partecipe” degli amici di De Simone, alcuni dei quali non si sarebbero accorti di quanto stesse accadendo, annunciando ora il ricordo in appello. Da parte sua, l’avvocato Emanuele Fragasso - parte civile per la moglie e la sorella della vittima - aveva invece chiesto di condannare gli imputati per omicidio preterintenzionale.
La tragedia ha avuto inizio nella notte tra il 2 e il 3 settembre 2012: Gabriele Sinopoli - promotore finanziario e fratello dello scomparso direttore d’orchestra Giuseppe Sinopoli - sta rientrando a casa in automobile con la sorella, quando in mezzo a via Verdi trova un gruppo di ragazzi che non gli danno strada. Anzi, quando suona il clacson per farsi largo, prima viene aggredito mentre è ancora alla guida dell’auto, poi nuovamente davanti al garage di casa.
A colpirlo è stato Giuseppe De Simone, ma secondo il giudice per le udienze preliminari Alberto Scaramuzza, tutto il gruppo è di fatto responsabile, chi in posizione più defilata, chi più centrale. In un primo momento, l’accusa era di omicidio preterintenzionale: Sinopoli era morto a distanza di 19 mesi, dopo lunghi ricoveri in ospedale. Ma i medici legali milanesi Carlo Bianchi Bosisio e Antonella Lazzari, nominati periti dal giudice Scaramuzza, hanno confermato che il decesso era avvenuto a causa del grave stato di salute dell’uomo, fragile per numerose patologie pregresse, escludendo che le percosse siano state la causa della morte. L’accusa è così stata derubricata a lesioni gravissime e rapina (a Sinopoli venne strappato di mano il cellulare). Ora le condanne in primo grado, alle quali seguirà certamente il ricorso in appello già annunciato dalle difese.
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