«Noi, sequestrati in casa: la strada era invasa da migliaia di bengalesi»

Il caso a Mestre. Risse e assembramenti in via Paruta nei tre giorni di apertura del consolato del Bangladesh. Clark Manwar: «Non si farà mai più da me». I cittadini: «Servivano park e bagni»

Marta Artico
Bengalesi in attesa a Mestre
Bengalesi in attesa a Mestre

A protestare, i cittadini di via Paruta a Mestre, soprattutto chi abita nei condomini a fianco all’ex ristorante Dhaka Biryani, oggi in ristrutturazione, che se ne sta al civico 40 della via. Per tre giorni, da sabato a lunedì, in centinaia hanno invaso i locali per via all’arrivo temporaneo del consolato del Bangladesh, che da Milano si è trasferito a Mestre per le pratiche dei cittadini che abitano nel Veneziano. Si prevedeva un afflusso di 1.300 persone con prenotazione, ma se ne sono presentate di più.

Non è la prima volta. Era già successo quattro anni fa e l'affollamento, allora, era avvenuto all’ex Palaplip, in via San Donà. Una ressa dovuta alle pratiche relative a passaporti, rinnovi, certificati di nascita fornite dal personale del consolato in missione itinerante a Mestre per facilitare la vita ai cittadini del paese.

«Ci siamo svegliati» racconta Antonio De Poli «un abitante di uno dei condomini vicini al ristorante in ristrutturazione trasformato in ufficio del consolato «e abbiamo trovato auto delle forze dell’ordine fuori di casa, alle quali abbiamo chiesto cosa succedesse. E ci hanno spiegato che era tutto autorizzato. E noi non abbiamo nulla da dire sul fatto che fosse legale e autorizzato, ma questo ci domandiamo. Come è possibile che a qualcuno passi per la testa che migliaia di persone possano prendere possesso di una strada in questo modo? Non c’era un luogo migliore? Il Comune non aveva da dare loro un teatro, un edificio pubblico, un sito adatto alla necessità?».

Durante l’evento, gli animi si sono surriscaldati e nonostante il personale abbia fatto del proprio meglio, si sono verificate anche delle risse. Prosegue: «Queste persone erano tutte in strada, ad aspettare, ammassate, intere famiglie con bambini che piangevano. E ovviamente avevano parcheggiato davanti alle nostre case. Io dovevo uscire, non sono riuscito, sono rimasto bloccato in casa».

E ancora: «Noi non ce l’abbiamo con loro, ci mancherebbe, ma con l’ organizzazione totalmente assente e con chi ha dato il via libera. Simili iniziative vanno fatte in luoghi adatti, opportunamente panificate. Servono bagni, zone di ristoro. In questo modo si creano situazioni di intolleranza dettate dalle condizioni sbagliate che portano le persone all’esasperazione».

Spiega Vincenzo Capobianco, un altro abitante di un condominio adiacente: «Erano tutti in strada e assembrati, assiepati in questa struttura che di certo non era fatta per contenerli tutti. Domenica pioveva ed erano all’addiaccio. In simili condizioni devi prevedere parcheggi, posti auto, invece erano davanti alle abitazioni, a rifugiarsi dalla pioggia e dal maltempo sotto le nostre tettoie, sotto alle grondaie. Per ore. Possibile che nessuno ci abbia pensato? Una disorganizzazione completa, della quale domandiamo conto all’amministrazione o a chi delle istituzioni ha deciso di dare l'autorizzazione».

Continua: «A un certo punto dovevo uscire, per andare a Venezia, ma non si capiva di chi fosse l’auto che andava spostata. Nessuno si interessava. Nessuno interveniva. Tre giorni invivibili». Chiude: «Possibile che non ci fosse un teatro, un palazzetto, il Taliercio ad esempio, un luogo pubblico per ospitare persone che arrivavano dal Veneto intero? Servono regole, per loro anzitutto e per chi si è ritrovato casa, marciapiedi, strade, luoghi di pertinenza invasi da migliaia di persone».

Il proprietario, l’imprenditore Clark Manwar, è irritato, anche con il consolato milanese: «Non era il luogo adatto, ma le autorità hanno dato l’ok in accordo con il consolato, che mi ha chiesto un appoggio. La situazione è sfuggita di mano e non ci sarà una seconda volta. Serve un luogo adatto e non era di certo il mio ristorante. Io stesso ero scettico, però alla fine mi hanno domandato di mettere a disposizione il locale e ho ceduto, ma la responsabilità non è mia. Il personale è stato bravissimo, ma ci sono stati momenti in cui i presenti si sono scaldati e le forze dell’ordine sono intervenute. La prossima volta servirà un teatro, un palazzetto, di certo non più da me perché non lo consentirò».

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